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 2014  luglio 07 Lunedì calendario

ASCESA E CADUTA DI ZOG DA FEUDATARIO A RE D’ALBANIA


Ho letto i suoi giudizi su alti personaggi che hanno fatto la storia del Novecento e ho imparato molto sui verdetti cinici della grande Storia. Sarei interessato a leggere da lei un giudizio sulla figura di Re Zog I d’Albania e il suo rapporto con Benito Mussolini e il conte Ciano.
Lavdrim Lita, Tirana

Caro Lita,
Con qualche forzatura, dovuta ai tempi in cui fu scritto, il miglior profilo di Zog è quello che ne fece Indro Montanelli in un libro ( Albania una e mille ) che fu pubblicato dall’editore Paravia nel dicembre 1939, pochi mesi dopo lo sbarco delle truppe italiane nel piccolo regno balcanico. Montanelli aveva trascorso due mesi in Albania agli inizi del ’39 e l’aveva perlustrata in lungo e in largo geograficamente, politicamente e culturalmente. Nel suo libro spiegò che era stata per molto tempo una terra premoderna, governata da leggi ancestrali, un instabile mosaico di tribù e milizie locali, un’arena dove i capi delle fazioni e delle tribù si contendevano continuamente il potere. Anche Zog era un «grande feudatario», ma più intelligente e duttile degli svariati baroni albanesi, pronto a farsi temporaneamente da parte per lasciare ad altri il compito di affrontare le crisi difficili e tornare in scena nel momento più favorevole.
L’occasione gli fu offerta da un attentato contro la sua persona nel febbraio 1924, di fronte all’ingresso del Parlamento. Impassibile, si asciugò il sangue, invitò i deputati alla calma, impedì rappresaglie e vendette, conquistò l’ammirazione popolare. Vi fu nei mesi seguenti un’altra prova di forza, provocata da un partito nemico, ma Zog colse l’occasione per mobilitare i suoi seguaci e ordinò una marcia su Tirana a cui nessun osò opporsi. Nel giro di qualche mese l’Albania divenne una repubblica presidenziale di cui Zog era contemporaneamente presidente e primo ministro. Cominciò allora la modernizzazione del Paese. Il presidente Zog sciolse il vecchio esercito (secondo Montanelli, «un’accozzaglia di mercenari indisciplinati e infidi») senza rinunciare alla sua milizia tribale; creò con l’aiuto dell’Italia la Banca Nazionale d’Albania; avviò un programma di opere pubbliche; fece approvare un codice penale, un codice civile e un codice commerciale, tutti ispirati a quelli dell’Italia e di altri Paesi dell’Europa occidentale. Per molti aspetti Zog fece allora per l’Albania, su scala molto più piccola, quello che Kemal Atatürk faceva in quegli anni per l’ex Impero ottomano. Ma l’Albania, a differenza della Turchia, era un Paese caotico e riottoso. Zog decise che la presidenza della Repubblica non gli bastasse e che soltanto un trono gli avrebbe garantito il potere. Il 1° settembre 1928 Ahmed Zog, con la benedizione dell’Italia, divenne re degli albanesi.
I rapporti di Galeazzo Ciano con la nuova Albania furono per alcuni anni eccellenti. Montanelli ricorda che il ministro degli Esteri italiano fece a Tirana, nel 1937, una visita trionfale e vi tornò l’anno dopo per accompagnare il duca di Bergamo al matrimonio di Zog con la contessa ungherese Geraldine Apponyi. Ma nei mesi seguenti, quando Mussolini decise di prendere l’Albania (una annessione decisa per rivaleggiare con quelle di Hitler), Ciano fu il principale regista dell’operazione. Voleva fare dell’Albania il suo feudo personale, una sorta di «Granducato di Toscana», come si diceva allora ironicamente nei corridoi del partito fascista, e ne dette una dimostrazione quando volle cambiare il nome veneziano di un’isola albanese che si affaccia sul mare Ionio. Si chiamava Santi Quaranta e divenne per qualche anno Porto Edda, dal nome della figlia di Mussolini che Ciano aveva sposato nel 1930.
Quando le truppe italiane sbarcarono sulle coste albanesi, Zog si rifugiò in Grecia. Nel suo libro Montanelli scrisse: «Non ha antenati, e forse non avrà eredi». Ma in un articolo scritto nel 1965 per il Corriere gli riconobbe il merito di essere uscito di scena con una certa eleganza.