Adriana Bazzi, Corriere della Sera 6/7/2014, 6 luglio 2014
I GENI COME MATTONI PER COSTRUIRE LE TERAPIE
Creare qualcosa che non esiste in natura. È questo l’obiettivo della biologia sintetica che vuole utilizzare, come mattoncini di un Lego, i componenti delle cellule viventi (Dna, Rna, proteine) per dare origine a nuove forme di vita, mai prima d’ora apparse sul Pianeta. E costruire nuovi farmaci, produrre biocarburanti, sintetizzare cibi, bonificare l’ambiente da agenti inquinanti, tanto per citare alcune possibilità che si prospettano per il futuro.
L’ultima traguardo su questa strada è quello ottenuto da Floyd Romesberg, ricercatore allo Scripps Research Institute di La Jolla, in California, che è riuscito a inserire nel Dna di un batterio, l’E.coli, due nuove basi artificiali, chiamate X e Y. La notizia è stata da poco pubblicata su Nature . Eccola in sintesi: il Dna di tutti gli organismi viventi utilizza solo quattro lettere (le basi azotate, timidina, guanina, citosina e adenina, che si accoppiano nella doppia elica) per costruire quel codice genetico capace di determinare tutte le caratteristiche di un organismo. Il nuovo batterio, invece, di basi ne ha sei. Risultato: se con le quattro basi si possono produrre venti aminoacidi capaci, poi, di formare proteine (il ruolo di una parte del Dna è proprio quello di fabbricare proteine che sono le costituenti della materia vivente), con il Dna espanso (sei basi) di aminoacidi se ne possono produrre 172 e così la possibilità di sintetizzare nuove proteine cresce a dismisura.
Ma questa è soltanto l’ultima tappa sulla strada della biologia sintetica.
Prima ci sono stati gli esperimenti dell’americano J. Craig Venter, il guru del Dna, l’uomo che aveva gareggiato con i National Institutes of Health americani nella decifrazione del genoma umano, che alla fine era arrivato secondo, ma che ha rapidamente conquistato la prima posizione nel campo della ricerca di nuove forme di vita quando si è trattato di creare il primo organismo artificiale della storia: il Mycoplasma mycoides. Venter è partito dal Mycoplasma capricolum, un microrganismo patogeno per le capre e lo ha trasformato artificialmente, grazie al trapianto di Dna, in un Mycoplasma mycoides, un germe diverso, ma della stessa specie, che provoca polmonite nei bovini. Aveva annunciato il progetto di manipolazione dei microrganismi fin dal 2002 e ha pubblicato i risultati sul Mycoplasma su Science nel 2007.
La storia della biologia sintetica parte, però, da molto più lontano e comincia nel 1912, quando il biologo francese Stephane Leduc pubblica un libro dal titolo «La biologie syntetique», dove parla della possibilità di ricostruire forme viventi.
La sua idea viene ripresa soltanto anni dopo, nel 1974, dal genetista polacco Waclaw Szybalsky che teorizza : «fino a ora abbiamo lavorato sulla fase descrittiva della biologia molecolare, ma la vera sfida partirà quando entreremo nella fase della sintesi biologica. Potremo elaborare nuovi elementi di controllo, costruire nuovi circuiti di controllo, aggiungere questi nuovi moduli ai genomi esistenti o costruire interamente nuovi genomi».
Dopo il secolo della Chimica (1800) e il secolo della Fisica (1900) ecco il secolo della biologia molecolare (2000) con le sue tre rivoluzioni. La prima parte dalla scoperta del Dna nel 1953, la seconda è quello della genomica che culmina con la pubblicazione nel 2001 del primo draft (abbozzo) della sequenza del genoma umano da parte di Celera (la società di Craig Venter) che poi ha condiviso la sua scoperta con l’NIH, i National Institutes of Health americani, che hanno poi pubblicato per primi la mappa dettagliata. La terza rivoluzione è quella appunto della biologia sintetica o «rivoluzione della convergenza».
Spiega Carlo Alberto Redi, biologo all’Università di Pavia e Accademico dei Lincei, in occasione di un incontro promosso a Milano dalla Fondazione Sigma Tau: «La biologia sintetica sfrutta, sotto il profilo tecnico, varie discipline che vanno dalla genetica all’ingegneria genetica, dalla fisica alla chimica, dalla scienza dei computer alla biologia dei sistemi. In definitiva la biologia sintetica vorrebbe ridisegnare completamente un organismo e possiamo dire che è un’evoluzione raffinata dell’ingegneria genetica».
Quest’ultima, l’ingegneria genetica, ha come obiettivo quello di fruttare microrganismi, di manipolarli geneticamente, inserendo geni utili, capaci di produrre farmaci per esempio. E i risultati ci sono già.
A partire dal tassolo, un antitumorale, per finire con l’artemisina, il più potente antimalarico oggi conosciuto. Entrambi questi farmaci venivano all’inizio estratti da piante: il tasso per il tassolo, l’Artemisia Annua per l’artemisinina con problemi legati alla esauribilità delle sorgenti naturali e ai danni derivanti per l’ambiente. Oggi si producono in laboratorio, senza più problemi di disponibilità e nel rispetto dell’ambiente.
La biologia sintetica ha però progetti più ambiziosi e sofisticati: appunto creare nuovi organismi.
Due sono gli approcci pratici che utilizza.
Uno è quello cosiddetto top-down (dall’alto in basso) e impiega organismi esistenti come batteri e virus, elimina il materiale genetico e li sfrutta come contenitori da riempire con nuove componenti cellulari (come appunto il Dna). È questo l’approccio utilizzato da Craig Venter per la creazione del Mycoplasma micoides.
L’altro è il bottom-up (dal basso all’alto): crea un catalogo di parti comuni che vengono impiegate per ricostruire sistemi biologici. È l’approccio che esalta l’idea di modularità dei sistemi viventi sfruttato nella produzione di xenoDNA, quello appunto arricchito dalle due nuove basi X e Y.
Con quest’ultimo sistema si sono già ottenuti risultati e riguardano la ricostruzione del virus della poliomielite, a partire dalla sequenza pubblicata (circa 7.500 basi) da parte del gruppo diretto da Eckard Wimmer della University of New York a Stony Brook, e di quella del virus della spagnola.
Risultati che hanno a che fare più con la conoscenza che con applicazioni pratiche. Ma queste ultime sono già alle porte (vedi articolo a fianco ).
Si prevede cha la biologia sintetica possa in un prossimo futuro guarirci, alimentarci e fornirci energia, come prevede un editoriale di Nature Review del maggio scorso.