Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 6/7/2014, 6 luglio 2014
IL SOTTOSEGRETARIO FA CAMPAGNA PER IL CSM
ROMA — Apparentemente sembra un messaggio di propaganda elettorale come tanti altri, inviato alla vigilia del rinnovo del Consiglio superiore della magistratura, dove oggi e domani giudici e pubblici ministeri sono chiamati a scegliere nel segreto dell’urna i loro rappresentanti nell’organo di autogoverno. È un testo breve e gentile, quasi discreto, inviato via sms a chissà quanti numeri di telefono: «Per le prossime elezioni Csm mi permetto di chiederti di valutare gli amici Lorenzo Pontecorvo (giudice) e Luca Forteleoni (pm). Ti ringrazio per la squisita attenzione». Il problema è la firma, aggiunta subito dopo: «Cosimo Ferri». Cioè il sottosegretario alla Giustizia del governo Renzi, quello che lunedì scorso ha annunciato la Grande Riforma riassunta in dodici punti, che per quanto generici indicano comunque una strada. E al punto quattro recita così: «Csm, più carriera per merito e non grazie all’appartenenza», affermazione di principio corredata da varie e ripetute considerazioni del premier non certo compiacenti verso il correntismo tra le toghe.
Ora si dà il caso che il sottosegretario Ferri, giudice e figlio d’arte in vari sensi (suo padre Enrico fu magistrato e componente del Csm, ministro e parlamentare socialdemocratico e poi di FI), rappresenti uno strano caso di commistione tra magistratura e politica. Da sempre esponente della corrente più «moderata» o «di destra» delle toghe, Magistratura indipendente, ne è diventato nel tempo il leader indiscusso. Rimanendo tale anche ora che fa parte dell’esecutivo, dicono i suoi detrattori. E certo il messaggio telefonico di cui ieri è stata data notizia sulle mailing list dell’Associazione nazionale magistrati e delle varie correnti non aiuta a smentire questa voce.
Quando entrò al Csm, qualche anno fa, Ferri ne fu il rappresentante più giovane; poi divenne il più votato nelle elezioni al «parlamentino» interno all’Anm, da segretario della corrente. Infine arrivò la chiamata nel governo di Enrico Letta: sottosegretario alla Giustizia in quota Forza Italia, quando il partito di Berlusconi faceva ancora parte della maggioranza. Poi lo scorso anno, dopo la scissione di Alfano e il passaggio di FI all’opposizione, restò nell’esecutivo spiegando di essere un tecnico, riuscendo ad essere confermato anche nella compagine di Renzi. Il quale si sentì rimproverare quella scelta, nel primo Consiglio dei ministri, direttamente dal guardasigilli Orlando, democratico fresco di nomina, anche perché c’era già un viceministro ex berlusconiano designato del Nuovo centro destra di Alfano, Costa; ma il premier replicò che ormai la squadra era fatta e quella rimaneva.
In questi mesi ha dunque proseguito nel suo lavoro di sottosegretario, impegnandosi sui testi di riforma (soprattutto nel settore del processo civile) che il governo ha predisposto e si propone di presentare in futuro. Senza però tralasciare una sorta di supervisione nella gestione di Magistratura indipendente, accusa chi — all’interno della corrente — ha creato una vera e propria fronda per contestarne leadership; proprio in nome della netta separazione tra l’amministrazione della politica e quella della giustizia. Tra i contestatori ci sono nomi di peso come l’ex pm di Mani Pulite, oggi giudice di Cassazione, Pier Camillo Davigo, il procuratore generale di Torino Marcello Maddalena, il procuratore aggiunto di Messina Sebastiano Ardita, il componente dell’attuale Csm Pepe. Che hanno tentato di contrapporre i loro candidati a quelli «ferriani» nelle elezioni primarie, e ora sostengono altri candidati rispetto a quelli indicati dal sottosegretario. Giudicando quel messaggio telefonico un’interferenza bella e buona; e chiedendosi quale sia l’opinione in proposito del ministro della Giustizia, del presidente del Consiglio e del capo dello Stato.
Lui invece, Cosimo Ferri, non vede niente di strano in quel sms inviato a poche ore dal voto. E si stupisce dello stupore altrui: «Sono beghe interne alla magistratura, e purtroppo vedo una strumentalizzazione che mi dispiace, perché in un momento come questo la magistratura avrebbe bisogno di grande serenità, non del nervosismo che traspare in chi vuol montare una polemica inutile, sterile e priva di fondamento, frutto di gelosie e cattiverie». Quando però gli si fa notare che forse non è del tutto normale che un membro del governo, cioè del potere esecutivo, faccia propaganda elettorale per due candidati all’organo di autogoverno di giudici e pubblici ministeri, cioè il potere giudiziario, Ferri risponde: «Ma la propaganda elettorale è tutta un’altra cosa! Io ho inviato un messaggio privato, sono un cittadino che conserva i propri diritti, e sono tuttora un magistrato che andrà a votare per il Csm e sceglierà i candidati che considera migliori. Poi sono anche uno che conosce tanta gente, quando mi sono candidato all’Anm ho preso più voti di tutti, 1.199, mi sembra normale condividere le mie idee. Da privato magistrato, ripeto, non da rappresentante del governo».