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 2014  luglio 06 Domenica calendario

«L’ITALIA RISPETTERÀ LE REGOLE EUROPEE MA MISURIAMO L’IMPATTO DELLE RIFORME»


Ministro Padoan, finiranno martedì, all’Ecofin, le polemiche sulla flessibilità in Europa?
«Martedì si entrerà nel vivo dei grandi temi: ci sarà un ampio dibattito sulla crescita e sulle riforme strutturali, uno dei pilastri della strategia sulla quale vorremmo fare passi concreti nel semestre di presidenza italiana».
Quindi non si parlerà più di regole?
«Lo dico una volta per tutte: le regole ci sono e hanno ampi margini di flessibilità, che va usata al meglio. Finora è stata usata con parsimonia anche perché è mancato un chiarimento su quale sia l’impatto delle riforme sulla crescita. Su questo vogliamo lavorare».
Anche su come misurare l’impatto delle riforme però non c’è accordo.
«A livello tecnico il dibattito è aperto da tempo. Un esempio: si dovrebbe tenere conto del fatto che le riforme hanno un effetto che si rafforza nel tempo ma che nell’immediato è meno visibile. Oppure che in una zona altamente integrata come l’Europa, se tutti fanno le riforme, c’è un vantaggio per tutti».
Nel decidere come misurare le riforme ritroveremo i due schieramenti che si fronteggiano sulla flessibilità?
«Il concetto di misura è un concetto standard accettato da tutti. Si tratta di mettersi d’accordo sui criteri. Alcune istituzioni internazionali già lo fanno: l’Ocse, ora anche il Fmi. E’ chiaro che se non siamo d’accordo su quanto è lungo un metro, non si fa strada assieme».
In che sede si dovrà trovare questo accordo?
«Prima di tutto c’è bisogno di una forte validazione politica. Poi ci potrà essere una produzione degli uffici, in modo che la prossima volta che si esaminerà la performance economica di un Paese, tale valutazione possa essere fatta utilizzando al meglio tutti i margini».
Secondo lei c’è il clima giusto per trovare questo accordo politico?
«La prima cosa che ho notato, incontrando i miei colleghi, è stata la necessità di togliere dal tavolo la diffidenza, di costruire una piattaforma di fiducia. Perché questo problema c’è: inutile negarlo. Le dichiarazioni, non tanto dei ministri, ma di molti esponenti della vita politica europea, anche recenti, hanno evidenziato un certo sospetto: perché viene posta ora sul tavolo la questione della misurabilità delle riforme?».
Come crede di abbattere il sospetto che l’Italia se ne voglia avvantaggiare?
«Il primo sforzo è essere tutti d’accordo su una cosa: in Europa ci vuole più crescita per creare lavoro. Per questo bisogna mettere in campo molti strumenti e le riforme sono al primo posto».
Alla luce delle ultime polemiche pensa che appoggiare Juncker alla presidenza della Commissione Ue sia stata una mossa corretta?
«Le ripeto quello che il presidente Renzi ha sempre detto: “La prima cosa da fare è vedere quali sono i programmi e mettersi d’accordo, poi si fanno le scelte sulle persone”. Mi sembra che sul fatto che la crescita e l’occupazione debbano essere la priorità ci sia convergenza, lo si è messo nero su bianco nelle conclusioni del Consiglio europeo».
Non è un impegno generico?
«No. Ho riscontrato un’adesione molto vasta e convinta alla crescita. Le contrapposizioni tra crescita/austerità, Nord/Sud, Paesi che hanno fatto riforme/quelli che non le hanno fatte, sono spesso dannose e costruite artificiosamente».
Noi parliamo di riforme, ma gli altri ci chiedono di ridurre il debito.
«Prima di tutto noi non chiediamo riforme. Le stiamo facendo a una velocità, bisogna darne atto al presidente, mai vista. Dopo l’estate chiudiamo quella fiscale. E poi l’Italia è un Paese che in termini di aggiustamento fiscale è ai primissimi posti e la sostenibilità del suo debito è certificata dalla Commissione Ue. Non andiamo in giro col cappello in mano non avendo fatto i compiti. Li abbiamo fatti, e questo ci è riconosciuto».
Intanto però questo cammino europeo verso la flessibilità incrocia il nostro percorso che, in termini economici, è ancora irto di difficoltà. Il sospetto che cerchiamo sconti c’è.
«Sono percorsi indipendenti. Noi vogliamo cambiare il senso del dibattito in Europa. Altro è il fatto che l’Italia abbia dei problemi seri da affrontare e che li stia affrontando: bassa crescita, alto debito, necessità di riforme. L’idea del nostro semestre di presidenza è dare un contributo non solo per la sua durata ma anche oltre, visto che a novembre si insedierà la nuova commissione».
Le stime del Pil del secondo trimestre non sono quelle attese.
«I dati del primo trimestre sono stati deludenti non solo per l’Italia ma per quasi tutta l’Europa e gli Usa.
Lei esclude una manovra correttiva.
«Esatto».
Ma se il Pil crescerà meno dello 0,8% previsto, non saremo vicini al limite del 3% nel rapporto deficit/Pil?
«La regola dice 3%. Molti Paesi ancora non la rispettano, a partire dalla Francia. Noi la rispetteremo».
Quali maggiori margini di flessibilità potrebbe portare l’applicazione di nuovi criteri di misurazione delle riforme? Un percorso più graduale di rientro del debito?
«La deviazione temporanea dal sentiero di convergenza verso il pareggio strutturale è già ammessa, ove un Paese implementi le riforme strutturali. Questo insieme di regole è recente e in fase sperimentale. Ma il presidente Barroso qui a Roma l’ha detto con chiarezza sorprendente: il Paese che implementa, dico implementa, le riforme strutturali ha un costo nel breve termine, dunque ha bisogno di più tempo per raggiungere gli obiettivi».
Quindi l’Italia chiederà più tempo a fronte di riforme?
«L’Italia potrebbe giovarsene al pari di tutti i Paesi europei».
Come affronterà la procedura d’infrazione sui debiti della P.a?
«Il decreto che avvia la garanzia dello Stato è stato registrato venerdì dalla Corte dei conti. Lo pubblicheremo domani sul nostro sito. Sono state stanziate le risorse per il pagamento dei debiti ancora in essere. Ci sono alcuni enti locali molto lenti. Ma faremo in modo che l’arretrato possa essere assorbito entro l’anno».
Conferma gli incassi delle privatizzazioni anche se quella di Poste subirà un rinvio?
«I numero che stanno nel Def sui proventi attesi sono confermati. Per Poste c’è l’ipotesi di dedicare un po’ più di tempo alla valorizzazione. Poi ci sono anche altre dismissioni in campo».
Si accelererà su Eni e Enel?
«Eni e Enel hanno una partecipazione diretta dello Stato che è ancora cospicua e tale da garantirne il controllo pur in caso di ulteriori cessioni. E’ un’ipotesi al vaglio».
La Germania vincerà i Mondiali?
«Eh, no, questo non me lo può chiedere prima dell’Ecofin».