Francesco Piccolo, Corriere della Sera 5/7/2014, 5 luglio 2014
ERO COME SNOOPY, CON LE ALLUCINAZIONI
Il Premio Strega è un’esperienza simile a un allucinogeno. Molto simile. Prima di tutto, nel lungo periodo da quando vieni candidato fino alla serata finale, nella tua vita esistono soltanto i quattrocento giurati. Ai miei figli, per esempio, che non erano dei giurati, nemmeno rispondevo quando mi chiedevano qualcosa (ora ho ricominciato a farlo). Al massimo rivolgevo la parola a persone che avevano un grado di separazione da un giurato, a stento rispondevo al saluto di quelli che avevano due gradi di separazione. Tutti gli altri, non esistevano più. La domanda che facevo quando qualcuno voleva parlarmi era: ma vota? E se non votava, dicevo «scusa» e me ne andavo indignato. Adesso che è finito tutto, sono tornato a essere gentile e socievole con tutti, anche se alcuni (giustamente) non mi rivolgono più la parola. Ma, come dicono tutti, lo Strega è una battaglia durissima, e allora per vincerla si finisce per rinunciare ad amicizie antiche, ad amori felici, a relazioni potenziali. Al limite, si cerca di avere delle relazioni adultere con giurate del premio. Ma neanche questo è facile.
Il Premio Strega è soprattutto una lunga gita scolastica fatta insieme ad altri quattro scrittori, con i quali sono stato più che con i miei familiari, in questi ultimi quindici giorni. Giuseppe Catozzella non lo avevo mai visto, e adesso gli ho confidato delle cose della mia vita così intime che adesso spero soltanto di non litigarci mai, altrimenti potrebbe ricattarmi in modo pesante e pressante, e io non potrei difendermi. Antonella Cilento una volta in streaming ha detto che anche oggi (come nel Seicento del suo romanzo) gli uomini preferiscono donne mute e addormentate e noialtri quattro maschi abbiamo contestato duramente, ma lei in streaming non ci sentiva e solo adesso, se leggerà queste righe, saprà che ci siamo molto offesi; poi, se aveva ragione lei, è tutt’altra questione. Francesco Pecoraro ha cominciato questa specie di tournée autodefinendosi (a ragione) un sociopatico e rispondendo alle prime due domande del primo incontro con un «no» e con un «sì», poi man mano è migliorato, si è aperto e se la tournée dello Strega fosse stata prorogata per un paio di settimane avremmo anche potuto vederlo in piedi su un cubo a ballare la Macarena (non ne sono sicurissimo, ma mi piace immaginarlo così). Antonio Scurati, che tutti dicono che ha un carattere difficile (lo dice anche lui di se stesso), invece a me sta tanto simpatico, era docile, sorridente e una specie di compagno dell’ultimo banco.
Siamo stati in molti luoghi, da Avellino a Vilnius. Sì, a Vilnius, in Lituania. Ci siamo stati due giorni e mezzo, e ne ho spesi molti di più a cercare di spiegare perché i candidati al Premio Strega dovevano andare a Vilnius. Dove del resto ci siamo divertiti e siamo stati accolti con molto calore. Cioè, forse divertiti è esagerato, visto che siamo usciti tutti insieme una sera in cerca di un posto dove andare a bere, e la ragazza esperta dei locali di Vilnius ha detto che ce n’erano due famosissimi, uno di fronte all’altro.
Quando siamo arrivati, c’erano in totale cinque persone in tutti e due i locali. In uno zero, nell’altro cinque. Noi comunque abbiamo scelto quello da cinque, dove tutti e cinque erano davanti a un maxischermo a guardare una partita dei Mondiali.
La parola che mi ha accompagnato per un anno intero è stata sempre la stessa: «Il favorito». E infatti dentro di me la voce interiore era come quella di Snoopy quando scrive i suoi romanzi sul tetto della casetta. Dicevo: ecco il favorito che si sveglia e si fa il caffè, ecco il favorito che esce in strada e cerca di raggiungere la metro, ecco il favorito che va a pagare la bolletta del gas. Ecco il favorito che non risponde alle domande dei suoi figli, ecco il favorito che pedina di notte un giurato e poi sotto casa prima cerca di impietosirlo con dei racconti strazianti poi lo minaccia fisicamente.
Poi è arrivata la serata finale. La mia fortuna, è che non ci ho capito nulla. E infatti quando mi hanno chiesto di andare sul palco perché avevo vinto ho aspettato che Walter Siti leggesse i voti finali, avevo paura di andare su e poi mi chiedevano di scendere dicendo: scusa, ci siamo sbagliati. Per tutta la serata ho guardato Siti che pronunciava i nomi «Piccolo, Scurati, Scurati, Piccolo, Catozzella…» e ho pensato ininterrottamente che avrei voluto vincere solo per questo, perché l’anno successivo il vincitore fa il presidente del seggio ed è la cosa che mi affascina di più. Sembra uno scherzo, ma non lo è affatto: non vedo l’ora che arrivi l’edizione dell’anno prossimo per esercitare questo piccolo potere che ha il presidente del seggio. Mi piace molto esercitare piccoli poteri (anche grandi, ma quelli non mi sono concessi).
Lassù, sul palco, mi ricordo solo di aver bevuto lo Strega dalla bottiglia, e che mi piaceva. Non so se sono riuscito a dedicare il premio a chi desideravo, quindi lo faccio qui: a Gabriella; a Domenico Starnone, perché è grazie a lui se faccio questo lavoro; a Caserta che è la mia città e all’Einaudi, che è la mia casa editrice e compie ottanta anni.
Il Premio Strega è un allucinogeno. Quindi il giorno dopo, quando mi sono svegliato, e ho detto: ecco il favorito che si sveglia, mi sono reso conto che non ero più il favorito. Mi è presa una strana malinconia. Ho capito che mi mancheranno molte cose, perfino quel locale di Vilnius. Non quello con cinque persone. L’altro.