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 2014  luglio 05 Sabato calendario

NEL CAVEAU DEL «PUPILLO», I DIAMANTI NASCOSTI TRA LE GALLINE


DAL NOSTRO INVIATO POFI (Frosinone) — Eccoli, infine, i famosi sercetti : i diamanti, nel vernacolo criminal-coatto di Mokbel e dei suoi compari. Nascosti tra i serci veri, secondo le regole classiche dell’occultamento. Non in un caveau inglese (o forse non solo lì) ma tra mattoni e pietre grezze di questo sottotetto sgarrupa to , nel casolare del nonno e del papà maresciallo dell’Arma, in mezzo ai campi arati e al nulla incolto di un paesello ciociaro di quattromila anime, tra galline, damigiane di vino e balle di paglia. Il Male alla gricia, insomma. Silvio Fanella aveva sepolto quassù, al secondo piano, la sua pentola del tesoro. A disposizione di tutti, in fondo, come la lettera rubata di Poe, perché basta un calcio e la porta mezza marcia si apre: ma proprio perciò introvabile per chiunque.
Nonna Anna, la signora della villetta di fronte così candida e curata da brillare per contrappasso rispetto ai muri di ruvida calce grigiastra di casa Fanella, si stropiccia ancora gli occhi alla rivelazione: «Eeeh? Milioni de brillanti? Beati loro! E io campo co’ cinquecento euro della pensione de mio marito buonanima!». Dietro di lei le voci dei nipotini, in giardino i tricicli, un dondolo bianco. Di qui una quotidianità immutabile, dall’altra parte del vialetto di ghiaia la normalità fasulla di Fanella.
A mezzogiorno sulle serrande verdi del riciclatore che fu il Pupillo di Gennaro Mokbel spiccano i sigilli del sequestro. I carabinieri del Ros di Roma, aiutati dai colleghi di Frosinone, sono qui ormai da ventiquattr’ore. Fanella era appena stato ammazzato quando sono partite le perquisizioni in quattro case di cui aveva possesso o proprietà. Forse qualcuno ha parlato, spaventato dalla sua fine, ma nessuno lo conferma. I tecnici del Ros sono arrivati col georadar, un prezioso strumento a onde elettromagnetiche che rivela gli spazi vuoti nel terreno e nei muri. Nel sottotetto, il muro si apre in un’intercapedine, nell’intercapedine due scatole di metallo blu, con trentacinque bustine colme di diamanti: valore, molti milioni di euro. Dentro guantiere per i dolci protette dal cellophane, ecco poi 284 mila dollari e 188 mila euro, l’argent de poche della banda. In una cassetta sei orologi preziosi, di cui un Rolex sobriamente personalizzato con altri diamanti. Tutto questo è solo una porzione del tesoro che, stando alle accuse, Gennarino l’Egiziano e i suoi riciclatori avrebbero messo da parte sulla truffa da due miliardi di euro ai danni di Fa stweb e Telecom Sparkl e, «una delle più colossali frodi poste in essere nella storia nazionale» a spese di noi italiani, secondo i giudici che nel 2010 firmarono 56 ordini di arresto e avviarono un blitz memorabile. Fanella, assieme a Luca Breccolotti, aveva il compito di mettere in sicurezza il tesoro: almeno sessanta, forse un centinaio di milioni di euro rimasti nelle tasche della banda al netto della stangata. Sicché la caccia continua. Almeno altre due o tre residenze più o meno segrete verranno setacciate. Il grosso è da trovare. Lo cercano in molti. ‘Ndrangheta inclusa.
Questi di Pofi, un paesello che ha la dissimulazione nel destino (sorge su un vulcano spento e si dice che la sua chiesa principale si trovi sopra il tempio pagano di Esculapio), erano soldi pronti e freschi, diamanti buoni per un uso immediato (i sercetti delle intercettazioni). E il Pupillo di Mokbel aveva pensato di nasconderli tra le pieghe della propria vita privata. Vita di paese. Di famiglia. Al di là della siepe, i mattoncini gialli della casetta accanto: ci apre la vedova Imola, che ricorda perfettamente il papà maresciallo di Silvio, «brav’uomo», e pure Silvio, «bel ragazzo educato, dopo che avevano comprato a Roma si vedeva da queste parti una volta a settimana, certe volte con la moglie. Pare incredibile ‘sta storia». Pare.
Però la realtà è questa, ammonticchiata in cortile tra le strisce biancorosse messe dai carabinieri: la cognata di Fanella, una mora in fuseaux, assiste alla perquisizione fissando il vuoto, seduta tra bottiglioni, cassette di frutta, rastrelli, brandelli di routine estratti dalla casa e dal magazzino accanto. Ci avventuriamo tra mura che qui sono in comune, il casolare è diviso tra due proprietari. Una porta col lucchetto rotto, una cantina abbandonata, due biciclette, sei damigiane, vari bottiglioni, olio doc e vino bianco vanno fortissimi.
Sul retro una parte del casolare è diroccata. A quest’ora nel borgo ai piedi del paese restano solo i vecchi. Chi ha l’età va a lavorare a Frosinone. Nessuno s’affaccia, chi ha curiosità le tiene per sé. Il georadar e la ruspa dei carabinieri affrontano adesso un campo a un centinaio di metri dal casolare, pure quello della famiglia del buon vecchio maresciallo. Dentro la perquisizione continua, si odono tonfi sordi, i militari battono sulle mura della cantina. Poi, dall’altra parte del viale, si sente nonna Anna, che chiama i nipotini col verso della chioccia: «Ti, ti, ti , a tavola, a tavola!». E con quella voce infine avvolge tutto, bene e male, sani e sbroccati, serci poveri e sercetti preziosi: come ali d’angelo, come niente fosse.