Paolo Lepri, Corriere della Sera 5/7/2014, 5 luglio 2014
DIETRO I DURI IN PRIMA FILA L’ALTRA FACCIA DEI TEDESCHI E GLI EQUILIBRI DELLA COALIZIONE
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO — Il rapporto tra Italia e Germania si costruisce tra i due governi, al di là di una dialettica a cui possono partecipare, nelle loro rispettive sfere d’azione, una istituzione «indipendente» come la Bundesbank, e i partiti, interpreti di esigenze legate alla politica interna. Questo si pensa a Berlino, all’indomani di un caso, come quello Weber-Weidmann, nel quale la cancelleria si sta muovendo con la consueta prudenza. «Non c’è differenza tra noi, remiamo nella stessa direzione», è stato il modo con cui il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seibert, ha cercato di riportare la tranquillità dopo la tempesta provocata, all’indomani del comizio del capogruppo ppe, dal duro intervento del numero uno della banca centrale. Seibert ha in realtà fatto qualcosa di più. Ha usato un linguaggio quasi «renziano» sostenendo che «Italia e Germania vogliono che le istituzioni europee lavorino per gli interessi essenziali della gente». Troppo poco, forse, per dare immediatamente ragione alla docente di relazioni internazionali dell’università di Oxford, Kalypso Nicolaidis, convinta che un’intesa tra il giovane capo del governo italiano e la donna più potente del mondo possa «dare forma all’Europa di domani».
Ma sta di fatto che il dialogo al massimo livello tra i due Paesi è molto ricco di possibili punti di forza. Ben più di quanto lascino credere le polemiche di bandiera. Non si tratta di affermazioni consolatorie. Nessuno a Berlino smentisce mai, anche nei momenti più difficili, quanto sia forte la sintonia tra Angela Merkel e Matteo Renzi, lo «sbarbatello» trattato con simpatia perfino da un giornale mangia-politici come il quotidiano popolare «Bild». Va detto però che nel manuale della cancelliera, come sono in molti a notare, continuano a trovare ampio spazio concetti largamente usati in questo recente passato come l’aumento della competitività e la necessità di tenere in ordine i conti pubblici. Il ritornello, ripetuto anche ieri, a volte si fa noioso.
Nel complesso scenario disegnato dal dopo-elezioni, l’agenda italo-tedesca è diventata più pesante. In primo luogo per quanto riguarda il patto di Stabilità, con il governo di Roma convinto dell’importanza di fare veramente un uso migliore degli strumenti di flessibilità in grado di permettere un rilancio della crescita. In Germania, i protagonisti di questo dibattito sono molti. E qualche volta, anche se non sempre, Angela Merkel si nasconde dietro le loro ombre. Chi sono gli altri giocatori della partita? Il ministro della Finanze Wolfgang Schäuble non ama il dibattito infinito sulla flessibilità (per il quale non ha nascosto a volte anche una certa insofferenza) e ricorda spesso che i margini di manovra esistono: si tratta solo di usarli, a condizione che le necessarie riforme vengano fatte e «implementate». Poi ci sono i partiti. Angela Merkel deve fare i conti in primo luogo con la Spd del vice-cancelliere Sigmar Gabriel, che parla lo stesso linguaggio (e spesso nello stesso momento, quasi come in un gioco di squadra) usato da Italia e Francia. Nell’Unione Cdu-Csu da lei guidata sono i cristiano-sociali bavaresi (di cui fa parte l’ormai famoso Manfred Weber) a cercare una maggiore visibilità con una serie di battaglie contro l’Europa «solidale». E la cancelliera deve tenere conto di tutto.
A fare la parte di chi tiene sempre la bacchetta in mano arriva la Bundesbank, il cui presidente è stato come al solito molto diretto, giovedì, nell’attaccare i Paesi che si limitano ad annunciare le riforme senza farle e nell’esprimere il timore che i bassi tassi vengano usati, in Paesi come l’Italia, per «finanziare altre spese». Nel suo discorso al forum economico della Cdu Weidmann ha criticato anche la grande coalizione tedesca, parlando del salario minimo e dell’abbassamento dell’età pensionabile a 63 anni, «perché la Germania deve rimanere un esempio». Ne ha avuto per tutti. Ma non è una buona ragione, questa, per partecipare anche alla politica italiana.