Sergio Romano, Corriere della Sera 5/7/2014, 5 luglio 2014
IL PIANISTA E I PASTORI
Come altre coppie europee, l’Italia e la Germania hanno un ingombrante bagaglio storico da cui possono trarre, a piacimento, materia per risentimenti, rimproveri, accuse reciproche. Accade generalmente quando gli uomini pubblici dei due Paesi (politici, ma anche imprenditori, banchieri e giornalisti) cedono alla tentazione di solleticare i pregiudizi e gli umori nazionali delle loro rispettive società. Ne vale la pena? È utile scomodare il passato per complicare il presente e allontanare soluzioni che possono essere soltanto comuni? Credo che ciascuno dei due Paesi dovrebbe piuttosto rendersi conto delle difficoltà dell’altro ed evitare di aggravarle.
Gli italiani, anzitutto, dovrebbero smetterla di trattare Angela Merkel come l’incarnazione femminile di Bismarck e Guglielmo II. La cancelliera è intelligente, autorevole, abile, non priva di un certo opportunismo, ed è rispettata dalla maggioranza dei suoi connazionali. Ma è molto meno forte di quanto non appaia. Governa con il partito socialdemocratico (a cui ha dovuto concedere in questi giorni il salario minimo garantito) ed è guardata a vista da due pastori tedeschi che non hanno alcuna intenzione di farle favori. Il primo, la Bundesbank, approfitta di alcune pagine nere della finanza nazionale fra la Prima e la Seconda guerra mondiale per atteggiarsi a custode dell’ortodossia finanziaria del Paese. Il secondo, il Tribunale costituzionale di Karlsruhe, difende le prerogative del Bundestag ed esige che ogni cessione di sovranità, a differenza di quanto previsto dalla Costituzione italiana nel suo articolo 11, passi un severo esame nel Parlamento nazionale.
I tedeschi, dal canto loro, dovrebbero rendersi conto di quali e quante difficoltà Matteo Renzi debba superare per realizzare le sue ambizioni. Il Partito democratico ha vinto le elezioni europee con un risultato che ha sbalordito i partner dell’Italia in Europa e ha regalato al suo leader una grande popolarità. Ma una vittoria a Strasburgo non modifica il rapporto delle forze a Roma. Renzi non ha una maggioranza, deve concordare le sue mosse con interlocutori discussi e discutibili, deve combattere su due fronti: quello delle riforme costituzionali e quello delle riforme economico-sociali. Quando i tedeschi pretendono i «fatti» dovrebbero capire che la fine del bicameralismo perfetto e una nuova legge elettorale non sono meno utili, per il futuro del Paese, di quanto siano altre riforme destinate a ridurre la spesa e il debito pubblico. Spesa e debito sono anche il risultato di un sistema in cui i tempi della politica sono infiniti e ogni decisione viene presa alla fine di una tortuosa via crucis costellata di patteggiamenti e compromessi.
È probabile che Renzi, insieme al suo invidiabile dinamismo giovanile, abbia anche qualche difetto della gioventù. Un discorso scritto, in qualche circostanza, può essere più opportuno di un discorso appassionato e improvvisato. Ma Angela Merkel e i suoi pastori tedeschi non possono dimenticare che l’Italia ha bruciato tre leader nel giro di tre anni e che la caduta del quarto provocherebbe una crisi nazionale ed europea dai risultati imprevedibili. Aiutare Renzi, con qualche concessione in materia di flessibilità, a guidare il suo Paese fuori della crisi è anche un interesse tedesco. Parafrasando un cartello che si leggeva un tempo nei saloon del West, è il solo pianista italiano, cercate di non azzopparlo.