Filippo Facci, Libero 5/7/2014, 5 luglio 2014
CHIAGNE E PUBBLICA
Renzi ha detto che vuole sentire le opinioni dei giornalisti sulle intercettazioni, che è come sentire le opinioni dei lupi sugli agnelli. I più ostili a una regolamentazione, infatti, non sono i magistrati, sono i giornalisti: i quali, semmai, strumentalizzano alcuni magistrati e li usano come scudo. Se ci badate, la cazzata del “diritto di informare” scatta ogni qualvolta s’intraveda una legge che rischi di funzionare, dunque rischi di arginare quella maionese impazzita che è la cronaca giudiziaria all’italiana: molti giornalisti sono ancora convinti che le intercettazioni siano in grado di far impennare le vendite, ecco spiegate le proteste corporative. Gli aneliti di libertà non c’entrano niente: anche perché non si tratta di limitare le intercettazioni, ma il loro utilizzo extragiudiziario, cioè la pubblicazione arbitraria. Da lustri, invece, migliaia di colloqui registrati si riversano sui giornali anche se la loro rilevanza giudiziaria è scarsa o nulla: da qui la benedizione delle intercettazioni da parte dei forcaioli (i soliti) protesi a una sorta di controllo sociale esercitato dal grande orecchio delle procure. Chi pubblica? I giornalisti. Chi decide? I giornalisti. È anche per questo che i nostri media, diversamente da quanto accade all’estero, tendono a concentrarsi sulle indagini e poi si dimenticano o quasi del processo, vero fulcro del rito accusatorio: non facciamo che lamentarcene, sui giornali. Poi in pratica, sui giornali, ce ne fottiamo.