Paolo Cacace, Il Messaggero 7/7/2014, 7 luglio 2014
UNO TSUNAMI CHIAMATO PERTINI
IL PERSONAGGIO
Quando si parla di Sandro Pertini il pensiero corre subito alla sua proverbiale coerenza di socialista di vecchio stampo e alla schiettezza, talvolta burbera e capricciosa, del comportamento che ne hanno fatto uno dei presidenti più popolari e amati della storia repubblicana. Ma per comprendere bene che cosa siano stati davvero gli anni di Pertini sul Colle, è indispensabile la lettura dei diari di Antonio Maccanico (Con Pertini al Quirinale- Diari 1978-1985,il Mulino 592 pagine, 36 euro) che occupò in quel periodo la delicatissima poltrona di segretario generale. Un amico, un consigliere fidato, un «grand commis» dello Stato dal fine fiuto politico e giuridico.
Si tratta di una miniera di notizie, di impressioni, di giudizi raccolti da Maccanico e ora magistralmente ordinati e curati - dopo la sua scomparsa avvenuta un anno fa - da Paolo Soddu. Ebbene il primo dato che si ricava è in qualche misura sorprendente.
TESTIMONIANZA
Erano noti l’interventismo e l’irruenza di Pertini, ma la testimonianza quotidiana del suo braccio destro mostra che nella vita istituzionale, politica ed economica del Paese non si muoveva foglia senza che il Quirinale non fosse direttamente coinvolto. Era già lì, sul Colle, lo snodo di tutte le scelte fondamentali. Passano sotto la lente sette anni lunghissimi, tra i Settanta e gli Ottanta, decisivi per le sorti della democrazia italiana. Sono gli anni del terrorismo brigatista, della “P2”, della fine dell’egemonia dei governi a guida Dc e del nascente craxismo. Pertini non nasconde mai una forte diffidenza nei confronti di Craxi e una spiccata simpatia per Berlinguer. I rapporti con il giovane leader del Psi sono sovente tempestosi. Come quando mette alla porta Craxi e i suoi collaboratori che minacciavano elezioni anticipate dopo lo scandalo “P2”: «Uscite, siete degli incoscienti!». La scelta cade su Giovanni Spadolini, primo laico non Dc a Palazzo Chigi, ma anche su lui piombano gli strali dell’incontenibile Pertini.
Lo definisce «braghe molli», «un vanitoso, primadonna e ballerino». I rapporti sono migliori con Cossiga (per due volte nominato premier), ma un dazio il futuro successore (per Maccanico un «apprendista stregone») dovrà pagarlo: fornirgli la copertura giuridica perché Pertini vuole nominare altri due senatori a vita oltre i tre da lui stesso designati. Ha in mente un colpo clamoroso: nominare Alberto Moravia e il cardinale di Palermo Salvatore Pappalardo. Il diavolo e l’acqua santa. Poi dovrà accontentarsi di nominare il porporato cavaliere di Gran Croce, Bo e Bobbio senatori a vita. Pertini affiderà a Bettino la guida di Palazzo Chigi (la famosa staffetta con De Mita), ma la sua speranza recondita è sempre quella di varare un governo di solidarietà nazionale.
IL PARTICOLARE
Emerge un particolare inedito. «Alla fine del 1983 - rivela Maccanico - Pertini mi mise a parte in gran segreto della sua intenzione di proporre ad Andreotti un’iniziativa per portare i comunisti nel governo». Il tentativo di silurare Craxi fallirà. Al tempo stesso Pertini coltiva la speranza di essere rieletto malgrado la veneranda età. Ci crede davvero fino all’ultimo. Glielo lasciano credere. «Se lascerò il Quirinale mi spegnerò come una candela», confida a Maccanico. Ci penseranno poi i risultati delle regionali dell’84, a far svanire l’ipotesi di un bis. Nelle pagine c’è anche un florilegio di curiosità, annotazioni sapide. «Mi pare che abbia strafatto, non gli giova», commenta sul suo diario Maccanico a proposito della decisione di Pertini di portare in aereo a Roma il feretro di Berlinguer.
IL PAPA
Gli incontri con papa Wojtyla meritano un’annotazione a parte. Nella visita in Vaticano Pertini mette in crisi il protocollo perché non si vuole sedere alla destra del Papa. Poi c’è il famoso incontro sulle nevi dell’Adamello nel giugno dell’84 quando il Presidente esclama: «Santità, Lei volteggia come una rondine!». Pertini impone un cambio di giorno. Lunedì 16 e non martedì 17, come voleva il Papa, perché il capo dello Stato è superstizioso e quel giorno non si muove da Roma. Nei rapporti con Maccanico c’è una sola ombra. La grazia accordata alla fine del mandato a Flora Pirri Ardizzone, accusata di terrorismo, su consiglio proprio di Maccanico. Costa a Pertini una valanga di critiche. Per il resto il Presidente dovrebbe accendere un cero a «San Tonino» che lo protegge. Deve ringraziarlo se riesce a superare indenne strappi, gaffe istituzionali. Tutto gli viene perdonato perché egli è in sintonia con la gente e perché - in un momento critico per il Paese - ha «reinventato» la presidenza. Anche se il «presidenzialismo di fatto», che qualcuno attribuisce a Giorgio Napolitano, appare alquanto ridimensionato rispetto a quello tsunami di trent’anni fa.