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 2014  luglio 04 Venerdì calendario

GLI OGM DEL FUTURO? UN RITORNO AL PASSATO


Il mese scorso l’Unione Europea ha finalmente preso una posizione sugli Ogm, le piante modificate con l’inserimento di geni provenienti da altre specie: ha deciso di non decidere. O meglio ha stabilito che siano i singoli Stati a valutare se sia o meno nel loro interesse coltivare gli Ogm approvati dall’Efsa, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (al momento sono solo due: un mais e una patata). La decisione si è dimostrata equilibrata: ha scontentato praticamente tutti. Per i tanti che vedono gli Ogm come una minaccia alla salute di uomo e ambiente e alla sovranità nazionale sarebbe stato meglio che la Ue li vietasse tout court, perché questa delibera esporrà i Paesi più deboli a pressioni e ricatti delle multinazionali produttrici di sementi geneticamente modificate. Per chi invece ritiene gli Ogm un’opportunità per l’agricoltura e la ricerca, l’Unione se n’è praticamente lavata le mani, lasciando le decisioni al groviglio di interessi locali.
La decisione europea ha però se non altro messo fine all’ambiguità del passato, con Stati, come l’Italia e la Francia, che ufficialmente accettavano le decisioni dell’Efsa, ma poi di fatto le boicottavano, ritardando o negando le autorizzazioni alla coltivazione: in questo modo difendevano l’immagine della produzione agricola nazionale e tenevano conto di un’opinione pubblica molto contraria agli Ogm, ma finivano anche per creare casi paradossali. «Fin dagli anni Novanta» racconta Eddo Rugini, professore di scienze agrarie all’Università della Tuscia, «avevamo creato a scopi scientifici varietà di olivi, kiwi, peri e ciliegi, contenenti geni batterici o del tabacco che rendevano resistenti a malattie, freddo e siccità. La sperimentazione stava ottenendo risultati importanti, con potenziali ricadute positive per la nostra economia.
Ma Regione Lazio e ministero dell’Agricoltura non hanno mai adempiuto alle prescrizioni europee, precisando aree e protocolli di sperimentazione degli Ogm. Così, a giugno 2012, è arrivato l’ordine di bruciare i 360 alberelli su cui stavamo lavorando, compresi alcuni che oggi non sarebbero neanche considerati transgenici: trenta anni di lavoro e milioni di euro pubblici buttati via».
Forse però le dispute Ogm sì/Ogm no, e la stessa decisione Ue, sono già roba del passato: oggi l’ingegneria genetica è diventata più raffinata e precisa, tanto da poter forse creare Ogm meno inquietanti per tutti. Quelli esistenti ora sono in realtà pochi, «rozzi» e decisamente inadeguati alla promessa, ripetuta da chi li produce, di «risolvere il problema della fame nel mondo». In pratica, nella quasi totalità, quelli in commercio sono semi di mais, soia, colza o cotone contenenti o un gene batterico che produce la tossina insetticida BT o un gene sintetico che li rende resistenti all’erbicida glifosato, usato contro le piante infestanti.
«Un po’ poco per salvare il mondo» dice la microbiologa Manuela Giovannetti, dell’Università di Pisa. «Oltretutto mais e soia Ogm finiscono quasi tutti nei mangimi animali, non certo nei piatti degli “affamati”. E non mancano gravi inconvenienti. Per esempio, gli Ogm BT, producendo la tossina di continuo e in ogni loro parte, dalle foglie alle radici, rendono resistenti gli insetti, mentre la trasmissione via polline del gene anti-glifosato può farlo acquisire a erbe infestanti della stessa famiglia. È vero che le industrie consigliano delle tecniche colturali per ridurre questi rischi, ma sono sistemi piuttosto complicati, che molti agricoltori non applicano nel modo corretto. Risultato? Nel 2005 esisteva solo una specie di insetti nocivi resistenti alla tossina BT, ora ce ne sono cinque, e si diffondono piante infestanti che resistono al glifosato. Questa comparsa di insetti e infestanti resistenti poi la paga anche chi non usa Ogm, e in particolare gli agricoltori biologici, che impiegano i batteri BT in modo mirato, per proteggere le colture. Insomma, i profitti di chi produce e usa Ogm sono privati, ma i danni che causano sono pubblici».
Nuove tecniche di manipolazione genetica potrebbero, però, cambiare il quadro. «Anzitutto oggi sono stati sequenziati genomi di piante come il grano, il riso, il pomodoro e la patata» spiega Massimo Iannetta, responsabile settore agrindustriale dell’Enea. «Questo ci consente di individuare nella stessa pianta i geni da modificare per ottenere quanto serve, senza bisogno di importarne da altre specie. Inoltre, ora ci sono tecniche biomolecolari che consentono di vedere subito se i risultati di una modifica genetica sono quelli sperati, senza dover attendere che la pianta diventi adulta, riducendo così da anni a mesi i tempi per ottenere nuove varietà».
Ma non basta, si stanno anche diffondendo nuovi strumenti di «riscrittura genetica», chiamati Talens e Crispr, che consentono non solo di inserire un nuovo gene in un punto preciso della catena del Dna, evitando così che finisca per funzionare dove e quando non serve, ma anche di cambiare, base
per base, il Dna della pianta, potendo così «migliorare» i suoi stessi geni.
«Non è difficile trovare in una pianta geni simili a quelli utili presenti in altre specie» spiega Rugini. «Con questi nuovi strumenti si possono modificare i geni esistenti, imitando quelli utili. In Gran Bretagna, per esempio, sono state realizzate varietà di grano che, sul modello di varietà selvatiche, producono segnali chimici in grado di allontanare gli insetti nocivi». Insomma, in qualche modo si ripropongono in vitro, agendo direttamente sul gene, le tecniche della selezione adottate da sempre degli agricoltori.
«Se poi si deve aggiungere un gene estraneo, oggi si può evitare che il polline lo contenga e che quindi si diffonda» continua Rugini. «Negli Usa la coltivazione di piante realizzate con queste tecniche sarà autorizzata attraverso percorsi più brevi e meno costosi: così gli Ogm non saranno più monopoli delle ricche multinazionali».
La flessibilità dei nuovi strumenti genetici consentirà anche di creare varietà capaci di resistere agli eventi meteo estremi indotti dal cambiamento climatico e di crescere in terreni marginali, evitando di deforestare. L’Enea, per esempio, ha creato un grano che resiste alla siccità «potenziando» i geni che già consentono alla specie di adattarsi alla mancanza d’acqua. «Lo stiamo già testando in Messico» dice Iannetta «con buoni risultati».
All’International Rice Research Institute, nelle Filippine si stanno invece usando Talens e Crispr per modificare più geni insieme e trasformare il tipo di fotosintesi del riso nel tipo ben più efficiente del mais, così da avere raccolti molto maggiori, a parità di acqua e fertilizzanti. Ed Eduardo Blumwald, botanico dell’Università della California a Davis, ha già creato varietà di cereali nelle quali i geni che conferiscono resistenza a calore, salinità e scarsità di fertilizzanti sono inseriti così precisamente nel Dna da attivarsi solo quando la pianta mostra segni di stress.
Insomma, la ricerca annuncia l’arrivo di Ogm «buoni», che potrebbero davvero dare una mano a risolvere alcuni problemi dell’agricoltura del futuro e anche essere meno controversi dei «Frankenfood» delle multinazionali. Staremo a vedere.