Paola Zanuttini, Il Venerdì 4/7/2014, 4 luglio 2014
DUE GIORNI CON DE MITA
Nusco. Nella diatriba fra dinosauri e rottamatori che agita una strana repubblica col presidente più vetusto d’Occidente e il secondo premier più giovane d’Europa, a Nusco è bastato eleggere un sindaco di 86 anni per rientrare nelle cronache politiche. Va detto che il sindaco in questione, oltre ad essere il più vecchio d’Italia è un pezzo da novanta: Ciriaco De Mita, palmarès onusto di incarichi (ex segretario della Dc, ex presidente del Consiglio, ex ministro), oltre che nume tutelare dell’Alta Irpinia. E va aggiunto che, in paese, il Pd è risultato il primo partito alle europee con il 29,4 per cento dei voti: mai successo nemmeno ai tempi del Pci; mentre, alle comunali, la lista Udc di De Mita (che si definisce dc e basta) si è accaparrata il 77,35. Come dire, il trionfo postideologico, e forse un po’ schizofrenico, dell’uomo sui partiti. Quindi il clima è frizzante, carico di ottimismo, bendisposto verso i visitatori che rimettono piede in questo ridente borgo di montagna, nostalgico degli anni Ottanta e dei tempi belli in cui le tortuose strade del potere passavano di qui.
Entro in tabaccheria per comprare una penna e la tabaccaia, cordialissima, mi sgama subito: stampa. «È qui per la festa del sindaco? Da quando l’hanno eletto è tornato il movimento, con De Mita Nusco rinasce». Tanto è l’entusiasmo che mi regala un pacchetto di mentine.
La festa per il sindaco, rinviata di settimana in settimana per via della pioggia, è una consuetudine locale. Il corso viene riempito di tavoli dai ristoratori che offrono le loro specialità. Difficile capire se è la democrazia che festeggia se stessa o la subalternità che si propizia il potere, forse le due cose insieme, ma sta di fatto che per De Mita si è lavorato in grande. Sul palco – dove si esibiranno i gruppi folk Piccimondo, di Montemarano e Tarantella dell’Irpinia, di Nusco – uno schermo diffonde immagini di scudi crociati e di De Mita con i grandi della terra, mentre un David Bowie d’annata canta We can be heroes, just for one day.
De Mita, alla faccia degli 86 anni, macina chilometri come un eroe, passeggiando senza tregua tra le due piazze del centro storico, e stringe mani, schiocca baci, si mette in posa per gli immancabili selfie col Presidente: un mix suggestivo di nuovo e d’antico. Alcuni concittadini, abituati ai suoi modi autoritari, permalosi e anche bruschi, notano che si concede con una generosità inedita, ma non si fidano. Chiedo al vicesindaco di presentarmerlo e si defila: «Vada lei, vada lei». Vado: «Presidente, sono qui per l’evento». «Che strano, anch’io». Pure spiritoso.
Quando si fa buio, sale sul palco e, davanti a una piazza affollata e plaudente esordisce così: «Buonasera, stasera non si parla. Si balla». Ma qualcosa la dice: «Percepisco che quella che sembrava un’utopia, la ricostruzione di un senso di comunità, si è avverata. E i bambini, che sono i più sensibili nel cogliere i mutamenti, se ne sono accorti per primi: si avvicinano, mi salutano. Anche io ho perso la mia riservatezza, mi fermo, ci parlo». Poi cambia tono e dice che quel che ha visto in Comune, dove peraltro negli ultimi cinque anni ha regnato il suo nipote un po’ ribelle poi riappacificato Giuseppe De Mita, non gli è piaciuto: «Trenta dipendenti di grado medio alto, quando ne bastano dieci. E neanche un usciere». (P.S.: c’è un altro nipote omonimo: il gioiello di famiglia, che siede in Parlamento). A Nusco, da mezzo secolo non si muove foglia che Ciriaco non voglia: vien da chiedere chi ce l’ha messa tutta quella gente al Comune. Infatti, la mattina dopo, a casa sua, glielo chiedo. Risposta squisitamente demitiana: «Io negli anni Ottanta chiedevo la capacità impositiva dei Comuni e la nomina del sindaco della coalizione più votata. Oggi il Consiglio comunale non ha più facoltà di controllo». Boh. Eccoci qua, le interviste a De Mita sono note per i fraintendimenti e per le lamentele dell’intervistato, incompreso dai giornalisti: nulla cambia. Due parole su Casa De Mita: è certo la villa di un notabile. Ma della Prima Repubblica, quindi molto più sobria di quel che si è visto in seguito. Il ringhiante carlino all’ingresso è un po’ incongruo, ti aspetteresti un pastore tedesco. Non dev’essere del Presidente, visto che chiama uno dei suoi famigli e gli fa: «Porta via ‘sto cane». Nell’atrio, oltre ai famigli ci sono i clientes. Quella del potere che è solo è una vera frescaccia: qui c’è un sacco di gente.
In seguito, Rosanna Secchiano, la candidata sconfitta del Pd, ammetterà: «In ogni caso, con De Mita il livello del dibattito politico sale di livello. Ha ragione. Perché se parla di gradini e fregi in marmo da sostituire con la pietra locale – nelle case private, mica nei palazzi pubblici – o di questione morale, Ciriaco vola alto. A proposito di quest’ultima, cita Benedetto Croce: «Diceva che, se si rompe una condotta, non chiami un fontaniere onesto, ma uno competente». Eccone un’altra: «I Romani sostenevano che il diritto nasce dal fatto, noi invece inventiamo le regole indipendentemente dal fatto. E ci stupiamo se non funzionano». La regola in questione è la legge sulle grandi aree metropolitane che proprio non gli va giù, soprattutto ora che è tutto concentrato su territorio e identità.
Non è un progetto da Strapaese il suo, semmai da sviluppo sostenibile. Osteggia le trivellazioni petrolifere in Irpinia: «Non la metto sul piano ideologico, ma siamo pieni di sorgenti d’acqua, non facciamo danni. Nel 1954 ci fu uno zampillo e il Pci era favorevole allo sfruttamento, ma a me che lavoravo all’Ufficio studi dell’Eni spiegarono che erano solo sacche, i giacimenti erano in Lucania, come poi si è visto». Punta invece al rilancio dell’agricoltura e dell’agroindustriale; a collegare meglio paese e contrade, dove ha fatto una campagna elettorale vecchio stile, casa per casa; a promuovere un turismo a basso impatto ambientale. E poi, città dei bambini, recupero del centro storico che con i molti soldi della ricostruzione post terremoto (qui non troppo disastroso) si è riaggiustato più che bene, e infine, maggiore interazione con gli altri Comuni irpini.
Su questo punto, il cugino Gianni Marino, responsabile del Pd locale e per quarant’anni in rotta con l’illustre parente, intravede un disegno a lungo termine: «Vuole guidare l’Assemblea dei comuni che dal 2015 sostituirà la Provincia e, siccome ragiona in termini di 120 anni, pensa di rientrare in Senato così». Non è livoroso il cugino Gianni, ma quasi ammirato: «È l’ultimo leninista. A me dice che sono prigioniero di un’ideologia inconcludente, un piccolo illuminista che con la sua cultura marxista vuole spiegare la storia. Ma la storia – secondo lui –non si spiega, si racconta. Prima delle elezioni ci eravamo riparlati, per fare una lista Pd-Udc, ma non ci concedeva niente: solo il vicesindaco».
Come nel resto d’Italia, il vero problema di Nusco è la disoccupazione, soprattutto dopo che l’assai discussa industrializzazione post terremoto è entrata in preagonia, per colpa dei suoi molti peccati originali e della crisi. Ma è una disoccupazione che nessuno sa quantificare, perché qui è tutto un reddito complesso: uno stipendio di qualcuno in famiglia, la pensione del nonno, l’orto che sostenta, qualche lavoretto. Un sindaco non può fare molto, anche se De Mita assicura che i soldi ci sono – basta sbloccare i fondi europei – e si vocifera che sono in arrivo 800 mila euro. Sulla carta, Nusco ha quattromila abitanti, ma il centro è svuotato e molti tornano solo a Ferragosto. Ci sono due circoli pensionati e tre blog sulla storia e i dialetti locali: è più consolante guardare al passato che al futuro. E la vecchiaia oggettivamente gagliarda di De Mita, che segue senza batter ciglio la sfiancante processione del Corpus Domini (e senza indossare la fascia tricolore: una civetteria da statista), è una promessa di ritorno all’età dell’oro, a quando in queste zone si registrava un reddito da provincie sviluppate. «Avrebbe potuto dire quello che gli pareva o non dire niente e avrebbe vinto lo stesso le elezioni. Lo hanno votato anche i giovani e questo mi ha stupito, forse i genitori hanno fatto pressione sui figli» dice la mancata sindaca Secchiano. «È vero che ha aiutato tante famiglie, ma si è aiutato anche lui. E poi un gesto di umana solidarietà presuppone la gratitudine, non la sudditanza: non può essere un mutuo inestinguibile. Sa che ha chiesto di avere un’opposizione più plastica? Ma non gli basta una maggioranza plastica»?
Il santo in paradiso fa comodo, chi lo nega, ma non paralizza la crescita? I cinquant’anni di potere demitiano non hanno schiacciato le intelligenze, infiacchito le volontà? Risponde, sibillino come un oracolo, l’albergatore Luciano Colucci: «Il potere sa scegliere. Gli intelligenti e i volenterosi non li schiaccia per niente».