Roberto Tottoli, Corriere della Sera 7/7/2014, 7 luglio 2014
Il califfo Ibrahim, al secolo Abu Bakr al-Baghdadi, si è fatto sentire e vedere. Nei giorni scorsi è stato diffuso un primo discorso di una ventina di minuti
Il califfo Ibrahim, al secolo Abu Bakr al-Baghdadi, si è fatto sentire e vedere. Nei giorni scorsi è stato diffuso un primo discorso di una ventina di minuti. Un discorso rivolto a tutti i musulmani per l’inizio di Ramadan, con la fugace menzione di Roma. È stata poi la volta di un video che lo ritrae sul pulpito mentre recita la tradizionale predica del venerdì. Dopo la proclamazione del califfato e le prime tiepide reazioni, era necessario farsi sentire e vedere, come molti hanno sottolineato. Ma era necessario, oltre a questo, offrire qualche indicazione ai musulmani, per sostanziare la pretesa che tutti ne accettino l’autorità. In una parola, legittimare la figura del nuovo califfo che sta agitando la comunità islamica. Il primo messaggio è comparso qualche giorno dopo la proclamazione del califfato, a inizio Ramadan. Tra citazioni coraniche, Abu Bakr ha ricordato i musulmani perseguitati nel mondo, il loro dovere di difendere la fede e di emigrare verso il nuovo califfato. Ha inneggiato al jihad , chiedendo a tutti di schierarsi al suo fianco. Aggiungendo che se così faranno conquisteranno Roma e il mondo diverrà loro, una frase che ha fatto il giro del mondo. Roma è citata improvvisamente e in modo strano, quasi echeggiando quelle tradizioni del primo Islam in cui si vagheggiava la sua conquista dopo quella di Gerusalemme. Ma qui le parole di Abu Bakr sono diverse e non si cerca la citazione dotta, anzi, sembra quasi che si sia voluto aggiungere un altro nome ad effetto in un discorso controllato e poco originale. In sostanza, solo ben interpretato. Stesso impatto e impressione si ha dal video. Vestito con il nero degli abbasidi che regnarono da Bagdad nell’Impero musulmano medievale, il califfo ha rivolto la sua predica ai credenti nella moschea di Mosul. Tutto appare studiato nei dettagli. Un’abile regia che lo mostra durante l’appello del muezzin mentre si pulisce i denti con un bastoncino usato secondo l’usanza di Maometto. Con voce sicura e in un buon arabo, Abu Bakr inizia accennando all’importanza del mese di Ramadan e quindi del jihad , infarcendo anche in questa occasione il discorso di citazioni coraniche e di un solo accenno al Profeta Maometto, come di prammatica. Pio e umile ci appare davanti alle file di devoti quando ne chiede il sostegno in questo difficile compito. I minuti finali ce lo mostrano salmodiare con indubbia abilità altri passi coranici e invocazioni di ogni tipo. Tutto ben fatto, ma soprattutto con poche novità e pochi rischi. E quell’orologio che spunta sotto la manica destra, che ha raccolto svariate ironie in rete, pare l’unica nota stonata in un filmato che vuole rassicurare ed evitare discorsi troppo complessi. I giorni successivi all’annuncio del califfato sono stati segnati dal silenzio. Poche le reazioni al primo e solo qualcuna in più al secondo messaggio. Non solo non vi è stata la corsa al riconoscimento che l’Isis agognava, ma le poche reazioni che vi sono state, sono state negative. Al-Qaradawi ha condannato senza mezzi termini, mentre le frammentate organizzazioni dell’Islam politico hanno taciuto oppure hanno diffidato chi ha provato a sollecitarne una risposta o a millantare una possibile adesione, dalla Tunisia ai Paesi del Golfo. Per non dire poi di quei leader salafiti che qua e là hanno rigettato la nomina e hanno avanzato vari dubbi sui contenuti. Anche le pretese genealogiche di Abu Bakr di discendere dal Profeta sono state respinte al mittente. Mostrare il califfo in carne e ossa per ora non sta smuovendo neppure i jihadisti. Anzi, qualcuno ha ipotizzato che tutto sia una recita, ispirata dal vero creatore del califfato: il portavoce Abu Mohammed al-Adnani. Tutto ciò in attesa di al-Qaeda e di un suo pronunciamento. Questi particolari non tolgono nulla all’importanza dell’evento. Nessuna altra formazione jihadista si era spinta così avanti. Bisogna risalire a un proclama del Mullah Omar del 1996 per trovare qualcosa di simile. Ma qui siamo ben oltre. I messaggi, con i loro contenuti generici e i toni concilianti vogliono rassicurare i sunniti iracheni, i siriani e i potenziali volontari da tutto il mondo: uno stato islamico ora c’è e ha un califfo che regna. E poco importa se le necessità politiche che guidano le prime mosse raccolgono per ora soprattutto silenzi. Sono silenzi di attesa, di un mondo sunnita forse stanco, ma anche di jihadisti divisi da rivalità. Jihadisti che sono tentati da una realtà che sta nascendo sul campo di battaglia, per la prima volta, ma anche frenati dai timori che sia un successo effimero. E se il giudizio politico pare sospeso, anche quello religioso va di pari passo. Una voce potente e passi coranici ben recitati non nascondono i sospetti che un’abile regia rifugga per ora contenuti problematici. E per questa ragione i musulmani nel mondo attendono di vedere cosa vi è oltre la retorica elementare di un califfato che per la maggioranza non ha alcun significato e che per i jihadisti rimane un punto interrogativo. Nonostante queste prime clamorose apparizioni.