Alessandro Barbera, La Stampa 5/7/2014, 5 luglio 2014
L’EX FINANZIERE GUASCONE DIVORATO DALL’AMBIZIONE
Quando gli capitava di litigare con i giornalisti per via di qualche articolo che non gli garbava, si divertiva a lanciare minacce più inopportune che pericolose, soprattutto se rivolte ad un lavoratore a reddito fisso: «Guarda che ti mando un controllo della Finanza, eh?». Lo faceva col sorriso sulle labbra, sapendo benissimo - o forse, peggio, senza capirlo fino in fondo - che il ruolo di consigliere del ministro del Tesoro gli avrebbe imposto ben altro stile. Ma Milanese è sempre stato così: ambizioso, guascone, galante con le donne a dispetto delle dicerie e soprattutto dannatamente disinvolto.
L’ascesa del più discusso finanziere della storia delle Fiamme Gialle da un piccolo paese di provincia ai vertici della pubblica amministrazione inizia sulla Statale 374, la strada che attraversa Cervinara, 9969 anime ai piedi dei monti del Partenio. Marco Mario ha 18 anni, solo sei dei quali vissuti in Irpinia. Intraprendente com’è, pensa già a come tornare a Milano, la città in cui è nato per via del lavoro del padre, funzionario all’Agenzia delle Entrate. Dopo il diploma si arruola nella Finanza, entra in accademia, raccoglie encomi solenni e viene mandato alla procura di Milano. Antonio di Pietro se lo ricorda bene: «Era uno dei tanti che lavorava per noi, attivo e determinato. All’epoca faceva il suo dovere. Poi purtroppo, come molti suoi colleghi, li ho ritrovati dall’altra parte della barricata: Cerciello, Simonetti, Corticchia. Non credo che Tremonti allora lo scelse perché cercava un complice, semmai per la ragione opposta». Milanese entra nello staff dell’allora ministro nel 2001 dopo avergli fatto da caposcorta. Conquista rapidamente la fiducia di Tremonti, fa incetta di lauree e master. Nel 2007 diventa avvocato e professore alla Scuola superiore di economia e finanze. A quel punto Milanese è un uomo arrivato: dichiara 713mila euro, accumulati con inopportune consulenze ad aziende pubbliche come Alitalia e Poste.
Per Milanese non è ancora abbastanza: quando nel 2008 si torna a votare sgomita per avere un posto da deputato. Tremonti lo sostiene, meno il coordinatore di Forza Italia in Campania Nicola Cosentino. Nel frattempo Milanese si separa dalla moglie. Si innamora della portavoce di Tremonti, Manuela Bravi, che di lì in poi rimarrà la sua compagna. Si concede lussuosi capodanni, auto sportive, orologi di gran marca. Quando si fa vedere alla Camera tutti lo trattano con grande riverenza come l’unico interprete autentico del pensiero del ministro. Lui è sempre al telefono, non dà troppe confidenze fatta eccezione per i pochi deputati amici del ministro. Sono i mesi in cui Milanese costruisce il castello di reati che lo porteranno fino al carcere. A luglio del 2011, quando lo scontro fra Berlusconi e Tremonti è all’apice, la procura di Napoli ne chiede l’arresto per corruzione. La Camera lo negherà. Scoppia il caso dell’appartamento dietro Montecitorio: 8500 euro al mese, metà dei quali versati in nero da Tremonti, il quale si difenderà coi magistrati dicendo che aveva accettato perché pedinato da militari della Guardia di Finanza fedeli a Berlusconi. Per Milanese è però solo la prima di una lunga serie di accuse: il suo nome emerge nell’inchiesta sugli appalti Enav, a maggio del 2012 è indagato dalla procura di Milano per associazione a delinquere e corruzione, accusato di aver introdotto norme sul gioco d’azzardo favorevoli alla Atlantis di Francesco Corallo. Fino a ieri era riuscito a slalomeggiare fra le garanzie del processo. Fino al punto, l’anno scorso, di chiedere a Tremonti un risarcimento da 174mila euro per l’uso dell’appartamento del Pio Sodalizio dei Piceni o tornare a insegnare alla Scuola superiore delle Finanze, come se nulla fosse accaduto.
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Alessandro Barbera, La Stampa 5/7/2014