Mattia Feltri, La Stampa 5/7/2014, 5 luglio 2014
“SPETTA AI TRIBUNALI TUTELARE LA PRIVACY NEGLI ATTI GIUDIZIARI”
[Intervista a Enrico Mentana] –
Direttore Enrico Mentana, lei ritiene saggio l’appello di Matteo Renzi ai giornalisti affinché si autoregolamentino sulle intercettazioni?
«Faccio il direttore da ventidue anni, e ho imparato che le autoregolamentazioni non servono a niente. Noi siamo pieni di codici, di carte, di convenzioni e non le rispettiamo. Sarebbe sufficiente il buon senso».
Che non c’è.
«No, non c’è. Sui giornali e in televisione vengono diffuse intercettazioni che con le inchieste giudiziarie non c’entrano nulla e che fanno accapponare la pelle. Sono atti di guardonismo che hanno a che fare quasi sempre con la sfera sessuale degli intercettati oppure con piccoli e grandi segreti del mondo degli affari, anche quando non c’è niente di illecito. È una vergogna che coinvolge gli indagati, ed è già un male, perché pure gli indagati e persino i condannati hanno il diritto a non far sapere questioni della loro sfera privata. Ma coinvolge anche i non indagati, ed è una barbarie».
Allora noi giornalisti dobbiamo fare qualcosa.
«No, è un discorso che non vale nulla. Ognuno di noi risponde alla sua coscienza e al suo pelo sullo stomaco, e c’è chi non ha l’una e ha l’altro. Pazienza. Ma è un errore grave ritenere che debba essere il giornalista a fermare la goccia prima che cada sul lavandino: la goccia non deve uscire dal rubinetto».
Cioè dai palazzi di giustizia.
«Per la mia esperienza, l’ottanta per cento degli atti - ordinanze, verbali - arrivano dalla magistratura. Allora il problema è un altro: tutto ciò che finisce negli atti giudiziari è già in qualche modo pubblico, il principio di tutela della privacy è già stato violato. Noi amplifichiamo una violazione già compiuta. Se nei faldoni dei pm entra - per ricordare un caso celebre - un sms di Anna Falchi che scrive “ti amo, ti amo, ti amo” a suo marito Stefano Ricucci, qualcuno dovrebbe spiegarci che cosa c’entri con le indagini sui furbetti del quartierino. Nulla».
Però se noi non lo pubblicassimo sarebbe meglio.
«Ripeto: ha a che fare con la nostra coscienza. Ma la privacy è già stata violata. Faccio un esempio: in un’altra inchiesta di cui non dico i contorni, per non fare altro danno, c’erano due uomini, nessuno dei due indagato, che si scambiavano parole amorose. Si svelano omosessualità, filarini e tradimenti via intercettazione, e queste sono cose che possono rovinare la vita più di un processo o di una condanna».
Dunque Renzi dovrebbe rivolgersi ai magistrati?
«Il governo sta rilanciando verso di noi una questione molto pericolosa, e allora toccherebbe a noi a spiegare a Renzi che deve rivolgersi a tutte le categorie che hanno a che fare con gli atti giudiziari: pm, giudici, avvocati e polizia giudiziaria, e deve suggerire loro un rispetto delle leggi, per esempio quella sulla privacy, che sono violate alla fonte: ci vuole un vero setaccio prima che intercettazioni e altro diventino materia pubblicabile. Se certe cose non vanno negli atti non vanno nemmeno sui giornali. Però niente, stiamo tutti zitti».
E sappiamo il perché.
«Certo, perché per noi giornalisti questo è l’albero della cuccagna. Guardiamo il caso di Massimo Bossetti: a me interessa sapere se è lui o se non è lui l’assassino di Yara. Non mi interessa sapere dei suoi genitori, del presunto tradimento di quarant’anni fa, se lui le ha fatto una scenata, se lei nega, se hanno fatto la pace. Oppure pensiamo a uno che di guai se ne è attirati parecchi, Silvio Berlusconi. Ma che senso aveva diffondere la sua frase, e non sappiamo nemmeno se l’abbia pronunciata o no, su Angela Merkel “culona inchiavabile”? Ma perché? Chiunque di noi al telefono può fare considerazioni sul suo direttore, sulla sua segretaria, su chi vuole senza poi vedersele riportate dai giornali».
La nostra categoria sostiene che ogni limitazione intacca la libertà di informare, specie sui potenti.
«Questo è un ritornello che canticchiamo ogni volta. La verità è che una bella fetta del giornalismo d’inchiesta dipende dalle carte consegnate dalle procure, e spesso sono indagini che si esauriscono sui quotidiani. Ma qui stiamo parlando d’altro, e cioè del diritto delle persone alla loro sacra privatezza».
Mattia Feltri, La Stampa 5/7/2014