Raffaella De Santis, la Repubblica 5/7/2014, 5 luglio 2014
“HO VINTO LO STREGA MA RESTO SCRITTORE POP”
[Intervista a Francesco Piccolo] –
Francesco Piccolo ha un’anima pop, è un surfista della modernità. Si muove con disinvoltura tra romanzi, cinema, televisione e nei suoi libri racconta la vita senza assoluti, quella fatta di compromessi e piena di difetti. Giovedì notte si è aggiudicato il Premio Strega. Eppure durante la serata finale è rimasto tutto il tempo seduto vicino alla mamma come un debuttante alle prime armi. Il desiderio di essere come tutti (Einaudi) ha vinto per pochi punti su Antonio Scurati (Il padre infedele, Bompiani), 140 a 135, quando tutti, alla vigilia, dicevano che avrebbe stravinto.
Il libro, che racconta la storia della sinistra italiana, ha strappato alla fine la vittoria ma ha incontrato lungo la via più ostacoli del previsto. Il mondo visto con la lente di Piccolo non ha tratti eroici, è semmai un posto in cui si sta tutti insieme nelle proprie mediocrità. Il che presenta naturalmente qualche insidia e può generare qualche perplessità.
Lo Strega è una macchina spietata. Ha scoperto nemici che non sospettava di avere?
«Si, è capitato ma ho anche scoperto di avere amici insospettabili. D’altra parte partecipare è prima di tutto un gioco e qualunque cosa succeda durante il percorso non va drammatizzata».
Un gioco con una posta alta. Ci sono in ballo notorietà, copie vendute, soldi.
«Tutto vero, però bisogna superare i rancori. Non si può trasformare chi non ti ha votato in un nemico. Oltre a fare lo scrittore, scrivo anche sceneggiature. L’ambiente del cinema abitua all’impatto con i giudizi del pubblico. Diciamo che sono allenato. In genere però tendo ad accettare tutto ciò che viene detto a proposito del libro, anche i giudizi negativi. Altra cosa sono naturalmente le cattiverie gratuite, più difficili da digerire».
È stata però una vittoria annunciata. Più combattuta del previsto ma annunciata. Se ne parlava almeno da un anno.
«È stato estenuante. Questa storia di essere il superfavorito non l’ho vissuta bene, nonostante abbia un buon carattere. Il mio timore era soprattutto che gli altri credessero che mi sentissi a mio agio in quei panni, che quell’idea mi appartenesse. In genere mi identifico più facilmente con chi perde, dunque non è stato facile».
Anche nel romanzo c’è l’idea del piacere della sconfitta. Eppure lei sembra non sbagliare un colpo: i film di successo, la collaborazione in tv con Fabio Fazio e ora anche lo Strega.
«Ma stare dall’altra parte è più riposante. Una delle cose belle di aver vinto lo Strega è non doverlo rifare».
Avere alle spalle un grande gruppo editoriale fa però la differenza. Non pensa che le case editrici abbiano troppo potere sui giurati?
«Hanno un potere enorme perché i votanti gli danno un potere enorme. Sono anch’io un Amico della Domenica e ho sempre votato il libro che preferivo, senza condizionamenti. Detto ciò, è vero che mi sono sentito molto protetto dalla mia casa editrice, tanto che avevo paura di deludere, sentivo un peso enorme, un’esposizione emotiva nei confronti delle persone che credevano in me. Non solo il gruppo di lavoro, anche gli amici, la mia famiglia».
E dentro il suo ambiente, ha avvertito qualche ostilità?
Qual è la sua idea di sinistra?
«Mi piace scrivere libri scomodi. Questo romanzo deve infastidire chi ha un’idea pura della sinistra. A sinistra c’è bisogno di abbandonare certi schemi, certe rigidità. Infastidisco i puri semplicemente perché ho il coraggio di guardare la realtà e raccontarla. L’idea della purezza delle minoranze perseguita la sinistra da troppi anni. La rivoluzione non si farà mai, è reazionaria, crede solo al cambiamento radicale, dunque è impossibile da attuare».
Berlinguer che ruolo ha in tutto questo? Un episodio centrale del romanzo racconta i funerali a piazza San Giovanni. Perché scelse di non andare e di vederli in tv, alzando il pugno da solo nella sua stanza?
«Il libro è il tentativo di capire perché sono rimasto a casa. Rimanendo a casa tentavo si sfilarmi dal recinto in cui la sinistra si stava per mettere, il recinto della diversità. Berlinguer rappresentava invece non solo la sinistra ma tutti. Quel funerale rappresentava l’intero paese. Credo che siano ancora valide le idee che esprimeva nei suoi articoli su Rinascita , dove scriveva che bisogna collaborare per cambiare il paese e renderlo migliore grazie all’idea di progresso».
È tra gli autori del festival di Sanremo targato Fazio. Nel curriculum di un uomo di sinistra possono convivere il Premio Strega e le canzonette?
«Guardo Sanremo da quando ero un bambino, non mi è affatto antitetico. Mi piaceva e mi sono divertito a farlo. I primitivi rischiavano la vita per procurarsi il cibo, ma anche per cercare i coralli. L’essere umano è così, un miscuglio di profondità e superficialità. Sono due aspetti che in genere convivono».
La sua filosofia sembra l’accettazione di ciò che esiste. Inutile chiederle se sperare in una rivoluzione che cambi finalmente lo Strega?
«So che lo Strega ha qualcosa nella sua struttura genetica che non funziona, ma mi rassicura che negli ultimi anni lo abbiano vinto grandi scrittori come Walter Siti, Alessandro Piperno, Niccolò Ammaniti, Antonio Pennacchi. Poi certo può succedere che autori bravi come Emanuele Trevi o Antonio Scurati perdano per pochi punti…».
Dopo l’incoronazione si sente ancora pop?
«Spero fortemente di essere un autore pop. È la mia storia. Mi piacciono i centri commerciali, le multisale, Sanremo. E mi è piaciuto anche partecipare allo Strega. Ma confesso che ieri sera arrivando al Ninfeo ho pensato: “Finalmente stasera finisce”».
Raffaella De Santis, la Repubblica 5/7/2014