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 2014  luglio 05 Sabato calendario

“SÌ, IL CASO BOFFO FU UNA PATACCA E IO NON DIFENDO CHI ME L’HA RIFILATA”

[Intervista a Vittorio Feltri] –

MILANO.
Sms di Feltri a Sallusti, ieri mattina: «Sembriamo Robledo e Bruti Liberati!». Risposta di Sallusti, non immediata: «È tutta da ridere». Vai a sapere se i due ci fanno, e, in caso, quanto ci fanno. Ma se un grado di giudizio — chiamiamola colpevolezza — si può misurare anche dall’umore, “Brighella” (copyright Giuseppe D’Avanzo), alias Vittorio Feltri, ex direttore de Il Giornale, predecessore e mentore di Alessandro Sallusti, pare avviato sulla via della catarsi e dell’autoassoluzione: dopodiché, chissà. Il tono di voce è brillante, arriva dal Tirolo: «Sono in vacanza con famiglia figli e nipoti, vengo qui ogni anno cinque giorni... Tempo così e così, ma che importa, tanto sono uno che fa cento metri e si ferma alla prima osteria».
Feltri, tra lei e Sallusti uno dei due non la racconta giusta.
«Io l’ho raccontata ai magistrati di Napoli, nel 2012, e l’ho raccontata così come è andata. E quando da Napoli sono tornato in redazione a Milano, a Sallusti ho riferito quello che avevo detto».
Lui però l’ha smentita. Davanti agli stessi magistrati. E si è avvalso del diritto-dovere di tenere riservate le fonti di un falso scoop.
«Scelta sua. Io le fonti le copro se sono fonti buone che mi hanno dato una notizia vera. Se invece le fonti mi hanno rifilato una bufala, a quel punto, davanti a delle balle, cosa me ne frega della riservatezza delle fonti? Non posso mica proteggere i falsari».
Il tema è arcinoto. Macchina del fango 2009. Caso Boffo (bollato come «noto omosessuale attenzionato dalla polizia»). Il falso scoop confezionato dal Giornale — che Feltri all’epoca dirigeva — sulla base di una velina che si è poi rivelata un’arma a doppio taglio. Fango, perché costringe Boffo alle dimissioni da direttore di Avvenire; e polpetta avvelenata perché alla fine Feltri, sospeso dall’Ordine dei giornalisti (al suo posto alla direzione del Giornale subentra Sallusti), deve ammettere l’omicidio giornalistico e chiedere scusa a Boffo. Arriviamo a oggi.
La macchina del fango ha investito il Giornale: Sallusti smentisce Feltri, e Feltri conferma.
Giusto?
«Macchina del fango...?! Ho creduto al mio vicedirettore. Se non ti fidi del tuo vicedirettore, di chi ti fidi? Le cose sono andate così. Arriva Sallusti e mi dice che c’è questa storia su Boffo. Mi porta dei documenti. Gli chiedo: “Chi te li ha dati?”. E lui: “Quel giro lì, Santanché-Bisignani-Bertone”. “Siamo sicuri”?, gli faccio. “Sicuri”. Lo prego di fare ulteriori verifiche: lui le fa. A quel punto decido di andare avanti. Come avrebbe fatto ogni direttore».
È quello che ha riferito ai magistrati di Napoli, o c’è altro?
«Questo è. Il pm, persona squisita, prima di interrogarmi mi dice che se voglio posso appellarmi al segreto professionale.
Figuriamoci. Perché mai dovrei coprire dei falsari? Il segreto professionale lo usi per proteggere delle fonti buone, mica chi ti ha venduto una patacca. E poi davanti a un magistrato, per quanto mi riguarda, non puoi raccontare delle puttanate. Quindi ho detto la verità».
Sallusti si è appellato al segreto. E ha detto che la sua ricostruzione è falsa.
«Sono problemi suoi. Pensare che, dopo l’interrogatorio, a Sallusti non ho tenuto nascosto nulla di quanto avevo dichiarato. Mi sembrava giusto ci parlassimo. Stamattina (ieri, ndr) gli ho scritto un messaggino: “Siamo come Bruti Liberati e Robledo”. Ahahah».
Lei chi è dei due?
«Devo ancora capirlo».
Dopo il servizio su Boffo è vero che Daniela Santanchè le disse che il cardinale Bertone l’avrebbe invitata in Vaticano per ringraziarla di avere pubblicato la vicenda?
«Certo. Non ho mai avuto particolare simpatia per i preti, però magari ci sarei anche andato a fargli un saluto. Il punto è che quell’invito da Bertone non mi è mai arrivato».
Perché, secondo lei?
«Posso solo immaginarlo».
Motivi di opportunità?
«Non lo so. Io non ho accusato e non accuso nessuno. Né Bertone né la Santanchè né Bisignani. Bisignani all’epoca nemmeno lo conoscevo. L’ho conosciuto dopo, oggi ogni tanto lo vedo, e mi è pure simpatico».
Questa storia viene fuori oggi, cinque anni dopo (rivelata dall’ Espresso). È un caso?
«Quando i colleghi dell’Espresso mi hanno chiamato dicendo di avere in mano la vicenda, ho risposto. Non ne avevo mai parlato prima perché i magistrati mi avevano detto di tenere segreto quell’interrogatorio. La storia è questa, non ci sono dietro chissà quali retroscena».
Qualcuno sospetta che sia una faida tra lei e Sallusti per la direzione del Giornale.
«Sospetta male. Non ho nessuna intenzione di portare via il posto a Sallusti. Sto bene come sto. Ho ancora quattro anni di contratto con l’editore. E poi i giornali, in generale, vanno sempre peggio: chi me lo fa fare?».
Si sta avvalendo del segreto?
«No, è così. Peraltro io non ho niente contro Sallusti».
Su di lei pende l’indizio di un recente riavvicinamento a Berlusconi.
«Mi ha invitato ad Arcore e ci sono andato. Ma non per parlare della direzione del Giornale.
Semplicemente, era da due anni che non mi invitava. Ho accettato per cortesia, e mi ha fatto piacere vederlo».
Altro indizio: l’iscrizione all’Arcigay insieme a Francesca Pascale. Si dice: Feltri, che con Berlusconi e famiglia è sempre stato un po’ orso, adesso è meno distante di prima. Gatta ci cova?
«L’iscrizione all’Arcigay nasce così, un po’ anche come una cosa leggera. E poi ci tenevo a fare chiarezza. Mi hanno sempre accusato di essere omofobo: mai stato. Se ho fatto delle battute sui gay, questo non fa di me un omofobo. Al contrario. Io le battute le faccio su tutti, a prescindere dai gusti sessuali che sono di ognuno di noi e, come tali, sono insindacabili. Se ironizzi su tutti tranne che sui gay, allora si è razzismo. Comunque se proprio vuole sapere, preferisco le lesbiche. Almeno abbiamo gli stessi gusti. Così ho fatto un’altra battutaccia».

Paolo Berizzi, la Repubblica 5/7/2014