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 2014  luglio 05 Sabato calendario

AUTO, YACHT, OPERE D’ARTE LA PARABOLA DEL FINANZIERE CHE AMAVA VIVERE NEL LUSSO


ROMA.
«Marco Milanese? Senta, zero. Arrivederci ». Reagisce così Giulio Tremonti, ex potente ministro dell’Economia, quando il cronista gli chiede a caldo un commento sull’arresto di Marco Milanese il suo ex braccio destro accusato questa volta di corruzione. Giulio Tremonti, oggi semplice senatore del gruppo Gal (Grandi autonomie e libertà) dopo aver litigato con Silvio Berlusconi e non essere più in sintonia con Umberto Bossi e con la nouvelle vague leghista, sia chiaro, non c’entra con l’inchiesta sul Mose di Venezia. Ma c’entra molto con la sorprendente ascesa dell’ex tenente colonnello della Guardia di Finanza nato nel 1959 in quel di Cervinara, paesone dell’avellinese con poco più di novemila abitanti.
Da ufficiale delle Fiamme Gialle, diplomato in ragioneria, figlio di un direttore delle Agenzie delle entrate, a aiutante di campo del ministro, a suo uomo di fiducia, a parlamentare della Repubblica, a professore della Scuola superiore dell’economia e delle finanze fondata da Ezio Vanoni a metà degli anni Cinquanta per formare l’élite della burocrazia eco-finanziaria. Perché senza l’incontro con Giulio Tremonti, Marco Milanese non sarebbe diventato un potente, dispensatore di incarichi, nomine, favori. Ben contraccambiati, stando a quanto ha scoperto la squadra di magistrati che indaga sullo scandalo infinito della Laguna. Non sarebbe diventato un uomo ricco, tra Porsche, Ferrari, Bentley, yacht da tanti zeri, preziosi orologi, opere d’arte, abitazioni nelle capitali europee, Roma e Parigi, capodanni newyorchesi a cinque stelle.
Spiegare il legame tra l’irascibile intellettuale di Sondrio, accademico giovanissimo, raffinato cultore dei testi classici sedotto dal populismo forza-leghista, e il finanziere del sud che a Milano collaborò con il pool di Mani pulite, non è affatto semplice. Tremonti e Milanese si sono sempre dati del “lei”. Come spiegare, infatti, «lo stretto rapporto fiduciario che prescinde dal ruolo istituzionale rivestito da Milanese», come scrisse il pubblico ministero di Napoli Vincenzo Piscitelli che lo ha indagato, chiedendone pure l’arresto (negato dalla Camera dei deputati per soli sette voti, assente Giulio Tremonti) per corruzione? Come spiegare il fatto che il ministro finì ospite pagante (in contanti) nel grande appartamento di Via Campo Marzio a un passo dal Parlamento che Milanese affittò dal Pio Sodalizio dei Piceni?
Quando Repubblica lo chiese all’allora ministro la risposta fu: «Lo riconosco. Ho fatto una stupidata. E di questo mi rammarico e mi assumo tutte le responsabilità. Ma in quella casa non ci sono andato per banale leggerezza. Il fatto è che prima ero in caserma ma non mi sentivo più tranquillo. Nel mio lavoro ero spiato, controllato, pedinato. Per questo ho accettato l’offerta di Milanese». Lo stesso che aveva convinto il ministro di essere sotto osservazione. Lui, il finanziere, coinvolto nelle trame, nelle guerre tra cordate dentro le Fiamme Gialle. E uomo di punta del “cerchio magico” tremontiano, appunto, che partiva dal generale Emilio Spaziante, anch’egli arrestato dai magistrati veneziani, e finiva a Marco Di Capua, candidato, bocciato da Renzi, alla guida dell’Agenzia delle entrate per il dopo Attilio Befera. Nella spartizione della gestione del ministero di Via XX settembre a Marco Milanese, Tremonti affidò tutte le partite delle nomine delle società controllate (Finmeccanica, Enav, Ferrovie), lasciando al super-potente capo di gabinetto, Vincenzo Fortunato, l’amministrazione del dicastero. A Tremonti interessava la politica. E poi i suoi affari professionali.
Non è un caso, allora, che Milanese sia arrivato alla corte di Tremonti segnalato — pare — proprio da uno dei soci dello studio legale e fiscale fondato dal tributarista di Sondrio: l’avvocato Dario Romagnoli, ex finanziere, guarda caso. Così da semplice aiutante di campo del ministro, Milanese ha scalato velocemente tutte le caselle: prima capo della segreteria particolare, poi consigliere politico, infine parlamentare, la cui candidatura in Campania fu praticamente imposta da Tremonti a Silvio Berlusconi e accettata da Nicola Cosentino, ex coordinatore del Pdl finito poi in galera. Sbrigando le questioni pratiche del ministro (biglietti di viaggio, scorta e quant’altro), con look da bodyguard, ne ha quindi conquistato la fiducia. Oltreché l’amore della portavoce del ministro, Emanuela Bravi.
Salita nel potere e nel prestigio. Fino a diventare (lui che si era laureato grazie ai vantaggi dell’aver frequentato l’accademia) professore della prestigiosa Scuola superiore dell’economia e delle finanze. Stipendio: 194.332,06 euro. Assegno che però gli è stato dimezzato a 97.166 per effetto della «sospensione cautelare» decisa dal Rettore della Scuola perché sarebbe stato imbarazzante avere tra gli insegnanti un plurindagato. Milanese ha fatto ricorso al Tar. «Perché io — ha sempre detto — non sono un delinquente».

Roberto Mania, la Repubblica 5/7/2014