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 2014  luglio 05 Sabato calendario

BERLINO SFORA IL TETTO DEL SURPLUS COMMERCIALE MA LA UE NON SI MUOVE


ROMA.
La crisi dell’euro è arrivata e (apparentemente) se n’è andata lasciando dietro di sé una scia di regole nuove. Ci sono quelle sui conti pubblici. Poi ci sono quelle di nuova generazione sui cosiddetti «squilibri macroeconomici ». Possono avere senso dopo l’esperienza di questi anni, eppure c’è un Paese che sembra godere di un’esenzione speciale: la Germania.
La prima economia dell’area è in aperta violazione delle procedure, eppure non solo non sembra preoccuparsene: neppure la Commissione europea o gli altri governi, Italia inclusa, fanno molto per ricordarlo. Le ultime raccomandazioni europee ai vari Paesi spiccano per il silenzio che circonda questa strana situazione.
Di che si tratta? Quando nel 2011 la zona-euro ha creato il «six pack», in quel pacchetto di sei regole per evitare nuove tempeste in futuro non c’erano solo vincoli di finanza pubblica. La crisi era anche frutto di squilibri negli scambi con l’estero delle varie economie. Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Italia erano in rosso da tempo. Il loro saldo negli scambi di beni, servizi e partite finanziarie con il resto del mondo era negativo: Stato e privati si indebitavano all’estero per mantenere il loro tenore di vita. Altri Paesi, Germania in testa, erano invece in surplus cronico e anche questo aveva alimentato i problemi: il frutto di quell’avanzo con l’estero veniva reinvestito a centinaia di miliardi in prestiti ai Paesi in deficit. Era la spirale che acuiva sempre di più gli squilibri che hanno finito per minare l’euro.
Di qui la regola del «six pack», con valenza di legge, benché asimmetrica: per ogni Paese diventa proibito avere un «rosso» delle partite correnti (scambi con l’estero) di oltre il 3% del Pil per più di tre anni di fila, ma lo è anche un surplus di oltre il 6% per lo stesso periodo.
L’inchiostro è appena asciutto su quei regolamenti, che sembrano già lettera morta. Dimenticati. Non da tutti, perché Grecia, Spagna, Portogallo e Italia nel frattempo hanno cancellato i loro disavanzi esterni, anche a costo di milioni di disoccupati in più e una caduta dei salari: i consumi si sono ridotti, l’export è salito. Invece, secondo le ultime previsioni della Commissione, quest’anno la Germania sarà in violazione (crescente) della soglia del 6% per il quinto anno di seguito. In teoria sarebbe esposta a una multa da 3 miliardi. In sostanza la correzione degli squilibri è stata fatta a Sud, ma non nel Paese al cuore dell’euro.
L’anomalia non è passata del tutto inosservata. A marzo, la Commissione Ue nota il problema tedesco e scrive che nelle raccomandazioni di giugno alla Germania verrà eccepito qualcosa «anche sulla procedura per gli squilibri macroeconomici». Ora la raccomandazione di giugno è arrivata ed è stata approvata dai capi di Stato e di governo dell’Unione venerdì scorso. Però, per la Germania, alla «procedura per squilibri macroeconomici » sono dedicate precisamente zero parole. Giusto un vago invito ad aumentare gli investimenti e stimolare la concorrenza nel settore dei servizi.
Ciò che conta non è che all’Italia invece la violazione in questa «procedura» viene contestata. Conta piuttosto la sostanza: è davvero così nocivo che la Germania viaggi con un surplus esterno da 280 miliardi, il più grande al mondo, doppio di quello cinese, circa il 7% del Pil tedesco? Sarebbe ingiusto sostenere che questo saldo record è stato raggiunto riducendo l’import dall’Italia o dalla Spagna. Nel 2009 l’economia tedesca ha comprato made in Italy per 37 miliardi di euro, nel 2013 per 47 miliardi. E sarebbe autolesionista chiedere una riduzione dell’export tedesco: ogni Bmw spedita da Stoccarda a Shanghai contiene freni fatti a Bergamo e pellame dei sedili conciato ad Arzignano, Vicenza.
Ma il surplus tedesco nel 2013 è stato accumulato in gran parte verso Paesi fuori da Eurolandia, per 188 miliardi, e ciò aumenta un forte afflusso di denaro verso l’euro dal resto del mondo. Ciò a sua volta rafforza l’euro, ostacola l’export degli altri Paesi, deprime l’inflazione e dunque spinge i debiti al rialzo rispetto al Pil. Basterebbe che la Germania incentivasse di più i consumi e gli investimenti, rispettando le regole comuni europee come chiede sempre agli altri di fare.
Lo strano è forse solo che nessuno lo ricorda, nemmeno Matteo Renzi. In fondo chiedere eccezioni per sé ai vincoli che danno noia, più che esigere dal prossimo il rispetto della legge, è sempre stata una specialità italiana. Non tedesca.

Federico Fubini, la Repubblica 5/7/2014