Giuseppe Scaraffia, Sette 4/7/2014, 4 luglio 2014
UN GIRO DI VALZER NELLA LONDRA DELLA BELLE EPOQUE
«L’
anno che precedette la guerra», ricorda Paul Morand, «fu uno dei più brillanti; ogni sera quattro o cinque grandi balli mi tenevano occupato fino all’alba». Era arrivato a Londra il 19 maggio 1913 per la sua prima nomina come addetto all’ambasciata francese di Londra. Certo era noioso decrittare i messaggi e batterli a macchina, ma non succedeva così spesso e presto gli fu chiaro che quel nuovo impegno sarebbe stato una lunga, indimenticabile vacanza. Dalla sua finestra vedeva Hyde Park popolato di uomini in cilindro seguiti dalle loro famiglie e, tra il via vai di carrozze di lusso, piccoli lord a cavallo di poney pelosi delle Shetland. Sembrava un quadro dell’800.
Aveva trovato casa tra Chelsea e Belgravia, in Eaton Mansions, e cenava spesso in un ristorante frequentato dal pittore John Singer Sargent. L’Inghilterra era molto cambiata dall’ultima volta che l’aveva visitata, cinque anni prima. Le alte cariche non erano più appannagio esclusivo della nobiltà e la forza economica della Germania indeboliva l’economia inglese. Gli uomini avevano rinunciato alle loro barbe appuntite. Le dame erano attratte dalle nuove mode, dal tango, dal socialismo e dal cubismo. Non a caso l’ambasciatore lo aveva soprannominato ironicamente “il mio addetto cubista”.
«Subito dopo avere lasciato Parigi ed essermi installato a Londra, ho frequentato delle duchesse. In una parola sono stato snob. È un tributo da pagare, meglio pagarlo all’inizio della vita che alla fine. Meglio passare questa prova semplicemente, passivamente, come il servizio militare che ribellarsi e diventare per il resto della vita uno snob a rovescio, un antisnob, timida vittima del complesso di inferiorità». Dai genitori Paul aveva ereditato due relazioni importanti, la principessa Alice di Monaco, amica del padre, e lady Brooke, vedova del rajà di Sarawak, che lo chiamava affettuosamente “il suo figlio francese”. Ben presto era stato accolto nello spregiudicato clan della moglie del primo ministro, Margot Asquith. Se frequentare Downing Street era emozionante, il salotto di lady Cunard era senza dubbio il più lusinghiero, perché spaziava dai Balletti russi alla famiglia reale. Quell’orchessa «magra, di una bellezza scontrosa, morbosa» si divertiva a scandalizzare l’alta società, fermandosi però sempre sul ciglio dell’abisso. Lì Paul aveva visto quella che sarebbe diventata la dissipata madonna del surrealismo, Nancy Cunard, allora solo una virginale debuttante. In giugno Morand si era fatto fare una giacca di tweed lilla, niente di più distante dalla divisa del diplomatico, giacca nera e pantaloni a righe. Non era affatto cambiato da quando si era presentato all’ambasciata in abito da viaggio marrone e scarpe gialle, facendo sussultare il monocolo dell’ambasciatore Cambon. Mai a disagio, Paul frequentava ogni ambiente senza lasciarsene inghiottire. Come un burbero genitore, Cambon lo portava la sera sul calesse per le vie di Piccadilly, raccontandogliene la storia. Ma il giovanotto non apprezzava i celebri club, «monasteri sinistri che sanno di sigari spenti». Molto meglio esplorare i misteri di Londra e i ristoranti di Soho.
Il tempo della moda. Benché non fosse né bello né eloquente, Morand piaceva alle donne. Gli occhi a mandorla conferivano un’aria lievemente esotica a quel venticinquenne snello e silenzioso. Aveva subito imparato a ballare il tango, la danza scandalosa arrivata dal Sud America. Frequentava «uomini affascinanti di una razza quasi scomparsa, specializzata nel gioco, nell’opera, nella conversazione e nelle cene mondane». Ogni giorno vedeva, all’alba, il sole sfiorare il tetto dell’Hotel Ritz. Bellissima e imperiosa, la baronessa Catherine d’Erlanger fu la sua amante principale. «È lei che mi ha insegnato tutto». All’inizio quella trentanovenne gli era sembrata altera e si era vendicato rilevando l’eccentricità del suo abbigliamento. Non sapeva ancora che, al contrario delle sue contemporanee, lei non seguiva la moda. «Non ne ho il tempo. Ho delle cose molto più interessanti da fare».
Bestiolina egoista. Abitava in una casa severa che era stata di lord Byron, 139 Piccadilly, vegliata da due gatti persiani che sonnecchiavano davanti al camino. La baronessa non dava peso alla sua imponente bellezza, ma le piaceva si notassero i suoi capelli rossi. «Sono una rossa e come tutte le rosse ho un brutto carattere». Difficile resistere alla sensualità del naso dalle narici frementi, alla mobilità degli occhi chiari, pronti a smentire la loro durezza con un inatteso languore. La sua gioia di vivere era irresistibile. Sempre autorevole, Catherine si muoveva con gesti decisi verso mete precise e indiscutibili. Paul la seguiva nella sua incessante caccia ai bibelot. Instancabile, madame d’Erlanger passava dagli antiquari più lussuosi ai robivecchi più miseri. Aveva una collezione sterminata di oggetti strani e curiosi, che accumulava insaziabilmente. «Sono come una gazza». Non sapeva di stare posando per uno dei ritratti di Tendres Stocks, destinato a uscire nel 1921 con una prefazione di Marcel Proust. Cinquant’anni dopo, rivedendo le lettere di quel periodo, Morand si confessò «spaventato dal mio personaggio. Un essere leggero, vano, snob, avido, ebbro di successi mondani, senza cultura, stupido, tremendamente alla moda, in due parole, antipaticissimo. Pensavo solo a divertirmi, tre balli per sera, il beniamino delle duchesse ecc., una bestiolina egoista». Ma un viaggio era pronto a redimerlo. La stagione londinese venne coronata da una missione a Costantinopoli. Indimenticabile lo sfarzoso Orient-Express, i pascià col fez e le spose velate chiuse a chiave negli scompartimenti, gli agenti segreti, i precettori francesi, i ricchi americani, i commercianti di zibellini, i boiardi rumeni e solenni indù. «Se la Compagnia internazionale celebrerà un giorno il giubileo dei cinquant’anni di servizio dei suoi viaggiatori, mi piacerebbe non si scordasse dell’uccello migratore nella gabbia mobile, del pellegrino militante appassionato, del nomade orizzontale che le è rimasto sempre fedele».
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