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 2014  luglio 04 Venerdì calendario

Il nuovo califfo dello Stato Islamico, l’iracheno Abu Bakr al Baghdadi al Qureshi è certo di prendersi Roma

Il nuovo califfo dello Stato Islamico, l’iracheno Abu Bakr al Baghdadi al Qureshi è certo di prendersi Roma. «Vuole arrivare dove nessun condottiero arabo è mai arrivato, alla Città eterna, assediata dai saraceni nell’843 dopo Cristo, ma mai espugnata. “Conquisterete Roma e sarete padroni del mondo”, ha detto ai suoi seguaci il leader dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis), trasformato pochi giorni fa in Stato islamico e basta. Siria e Iraq non bastano più. Ora vuole tutti i territori che nei secoli sono stati sotto il dominio dei musulmani. E come ciliegina la capitale della cristianità» (Giordano Stabile) [Giordano Stabile, La Stampa 3/7/2014] Ma chi è veramente Abu Bakr al Baghdadi, che i media hanno già battezzato enfaticamente il «nuovo Bin Laden»? Renzo Guolo: «Del fondatore di al Qaeda non possiede lo sguardo ieratico, l’aura che viene da una famiglia consona a status e ricchezza, nonostante di recente abbia aggiunto al suo nome quello di al Qureshi, membro dei coreisciti, che ne farebbe un discendente dell’antica tribù del Profeta». [Renzo Guolo, la Repubblica 21/6/2014] «Se leggete su un giornale che lo Stato islamico in Iraq è un “gruppo affiliato ad al Qaida”, buttate pure via l’articolo perché non vale la pena andare avanti. Lo Stato islamico ha sì le stesse tattiche di guerra di al Qaida – più violente anche – e l’ideologia è identica, ma c’è stata una scissione: ora lo Stato islamico è un nemico mortale di al Qaida, al punto che alcuni suoi uomini sono arrivati a scomunicarne il capo ed erede di Bin Laden, l’egiziano Ayman al Zawahiri, e lo considerano un “apostata» (Daniele Raineri) [Daniele Raineri, Il Foglio 5/4/2014]. Di lui abbiamo solo due foto: una in bianco e nero, scattata nel carcere della base americana di Camp Bucca nel 2009 e una a colori, del 2010. [Stampa 3/7]. Per i servizi occidentali il nome in codice è «lo jihadista invisibile». Quello vero è forse Ibrahim Ali al Samarrai, cioè di Samarra, una delle città irachene che con Falluja hanno più dato da torcere agli americani. Qui sarebbe nato nei primi anni Settanta, probabilmente nel 1971. «Alle origini era il modesto chierico in una moschea sunnita, poi si è diplomato in pedagogia all’Università di Bagdad. La sua esperienza come terrorista è stata lunga, durante l’occupazione americana dell’Iraq. Quando furono tagliate e poi mostrate le teste di alcuni ostaggi occidentali lui era un giovane gregario» (Bernardo Valli). «Nel 2003, davanti ai carri Abrams che avanzavano, l’allora predicatore salafita e docente di Sharia all’università, decide di imbracciare il kalashnikov e di darsi alla macchia nelle regioni semidesertiche dell’Ovest del Paese, fra Falluja, Ramadi e il confine con la Siria. Da lì comincia la scalata al potere» (Stabile) [Giordano Stabile, La Stampa 12/6]. Sembra che sia stato prigioniero degli americani tra il 2005 e il 2009 a Camp Bucca, vicino a Bassora. «Il giorno della liberazione avrebbe pure salutato così i soldati americani di guardia: “See you in New York, guys”. In realtà, di lui circola un video in libertà datato tra il 2006 e il 2007 – quando in teoria avrebbe dovuto essere chiuso in cella. La realtà è che non si sa quasi nulla su un uomo che in Medio Oriente ha più potere militare di molti ministri della Difesa e che sta scuotendo l’assetto della regione» (Peduzzi e Raineri) [Paola Peduzzi e Daniele Raineri, Il Foglio 17/6] «Nel 2009, raggiunge le fila dello Stato Islamico in Iraq, sin lì guidato da un predecessore quasi omonimo. Al nome del gruppo manca ancora una “S”, quella di Sham, Levante, che si aggiungerà in seguito, rivelandone i nuovi obiettivi: la costituzione del Califfato nelle province sunnite irachene e siriane» (Guolo) [Renzo Guolo, la Repubblica 21/6/2014]. Al Baghdadi ha aggiunto il titolo di Abu Bakr, «primo califfo della storia, successore di Maometto», subito dopo aver assunto la guida degli islamisti iracheni nel 2010. Ora, da qualche settimana gli adepti sul Web lo chiamano anche Al Qureshi, nome della tribù del Profeta. L’orientalista Olivier Roy: «Nel 1924, quando Atatürk abolì il califfato per costruire la Turchia laica all’occidentale, i pensatori islamici si riunirono in Arabia per decidere i criteri di una rifondazione, e i requisiti per il futuro califfo. E uno dei principali era far parte dei Qureshi. Al Baghdadi ha scoperto qualche linea di successione che prima non conosceva…» [Giordano Stabile, La Stampa 3/7/2014]. Il 2013 è stato l’anno in cui al Baghdadi ha conquistato lo status di uomo più ricercato del Medio Oriente. Daniele Raineri: «Ha dichiarato guerra allo stesso tempo al governo iracheno del primo ministro Nouri al Maliki e al governo siriano del presidente Bashar el Assad e per sgombrare uno spazio geografico dal controllo “dei vecchi stati” e preparare la nascita di un nuovo Califfato islamico che li rimpiazzerà. Il programma è quello di al Qaida, con una differenza: i suoi uomini non si considerano più appartenenti semplicemente a un gruppo, “jamaat”, ma davvero a uno “stato” nascente (Dawlah)» [Daniele Raineri, Il Foglio 04/1/2014]. Al Qaida non ha più alcun movimento che la rappresenti in Iraq da quando, all’inizio di quest’anno, il suo leader, Ayman al Zawahiri, ha formalmente “ripudiato” l’Isis comandato da Abu Bakr al Baghdadi. Non l’ha fatto di buon grado: per mesi ha cercato di controllare la riottosità dell’Isis – con “consultazioni”, come ha scritto al Zawahiri con linguaggio da diplomatico della troika – blandendo al Baghdadi e arrivando persino a riconoscergli il fatto di essere un erede del Profeta, quindi un possibile capo del Califfato che verrà, cosa che pochi altri dentro al Qaida credono vera (dicono che al Baghdadi si sia aggiunto il nome di “al hosseini al qureyshi”, inventandolo di sana pianta) [Paola Peduzzi, Il Foglio 13/6/2014]. Domenica 29 giugno al Baghdadi è stato nominato califfo dello Stato islamico, in un’elezione secondo carisma, dal Consiglio della Shura dell’Isis, una sorta di assemblea consultiva che si pronuncia sulle questioni politiche più rilevanti e legittima le decisioni del leader del gruppo. Guolo: «Il carisma, il dono straordinario riconosciuto dai suoi seguaci, il misterioso Al Baghdadi, l’ha guadagnato sul campo. Riorganizzando una jihad che sembrava ormai alle corde. Partecipando al conflitto in Siria, l’Isis ha allargato il suo teatro d’azione sino alle provincie sunnite di quel paese. Scelta che ha consentito al gruppo di aprirsi un passaggio verso la Turchia, via privilegiata dei flussi di volontari, armi, denaro, rifornimenti». [Renzo Guolo, la Repubblica 4/7] Bernardo Valli: «Come istituzione il califfato è rimasto al centro dell’Islam. Ha condotto alla rottura tra sunniti e sciiti, rivali nella lotta di successione al Profeta, e adesso ancora a confronto sul piano comunitario e religioso, in Iraq e in Siria. A fasi alterne, nei secoli, il califfato ha rappresentato una forza militare o ha esercitato un’autorità religiosa, o un’istituzione simbolica. O le due insieme. La sua ultima dimora è stato l’Impero ottomano, dissoltosi in seguito alla Grande guerra. Nel 1924 la Turchia repubblicana l’ha abolito» [Bernardo Valli, la Repubblica 4/7] La proclamazione del califfato può apparire folcloristica ma non è così. «Il ritorno del califfo, per quanto possa essere effimero o utopico, non è senza conseguenze in un mondo musulmano profondamente diviso tra sciiti e sunniti e in monarchie e repubbliche sempre più in crisi di legittimità. E anche la vecchia Al Qaeda adesso ha trovato un nuovo e pericoloso concorrente» (Alberto Negri) [Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 1/7/2014] Le differenze tra Osama e Al-Baghdadi sono molte. Osama elettrizzava i suoi seguaci con la sua retorica, Abu Bakr non ha mai fatto circolare un suo video. La sua autorità si basa sul comando militare e non sulla purezza del messaggio rivoluzionario. La sua ascesa è stata travolgente e devastante per al Qaeda. Zawahiri nel febbraio scorso ha espulso l’Isis da al Qaeda e, per tutta risposta, Al-Baghdadi ha apertamente sfidato l’autorità di Zawahiri. [Carlo Antonio Biscotto, Il Fatto Quotidiano 4/7]. A Baghdadi è riuscito, comunque, un capolavoro politico. Mettere d’accordo, nella scelta di distruggere lui e il suo gruppo, Usa e Iran, Hezbollah e Israele, Egitto e Turchia, la Siria di Assad e i paesi del Golfo, decisi a impedire il terremoto dei confini mediorientali. Molti, in queste ore, cercano il suo volto e il suo nascondiglio. [Renzo Guolo, la Repubblica 21/6/2014] Ovviamente l’ardita pretesa egemonica del nuovo Califfo dipenderà dal suo successo. Se davvero conquistasse Bagdad, distruggesse i luoghi santi alidi di Najaf e Kerbala, sconfiggendo gli odiati sciiti e facendo tremare le “potenze crociate”, quella legittimità sarebbe acquisita una volta per tutte. Ma il progetto di Al Baghdadi ha troppi nemici per riuscire. E molti, anche in campo jihadista, dove le rivalità e i personalismi prosperano, stanno a guardare. [Renzo Guolo, la Repubblica 4/7]