Renzo Guolo, la Repubblica 4/7/2014, 4 luglio 2014
ECCO COME SI COSTRUISCE IL SUCCESSORE DI MAOMETTO NEL MONDO GLOBALIZZATO
Come si diventa califfo nell’era globale? E chi riconoscerà Abu Bakr al Baghdadi, come successore o delegato, questo è il significato del termine arabo khalifa, del Profeta Muhammad? Al Baghdadi è stato scelto, in un’elezione secondo carisma, dal Consiglio della Shura dell’Isis, una sorta di assemblea consultiva che si pronuncia sulle questioni politiche più rilevanti e legittima le decisioni del leader del gruppo. Il carisma, il dono straordinario riconosciuto dai suoi seguaci, il misterioso Al Baghdadi, l’ha guadagnato sul campo. Riorganizzando una jihad che sembrava ormai alle corde. Partecipando al conflitto in Siria, l’Isis ha allargato il suo teatro d’azione sino alle provincie sunnite di quel paese. Scelta che ha consentito al gruppo di aprirsi un passaggio verso la Turchia, via privilegiata dei flussi di volontari, armi, denaro, rifornimenti. Sino a esercitare il controllo di un territorio transfrontaliero divenuto l’embrione del futuro Stato Islamico.
Un indubbio successo politico e militare: in pochi anni l’Isis è divenuto il magnete che ha attirato centinaia di mujahidin provenienti dal Caucaso e dall’Europa, dalla Penisola arabica e dall’Asia Centrale e si è misurato con forme di governo territoriale meno semplificatrici, anche se non meno brutali, di quelle sperimentate dai qaedisti al tempo di Zarkawi. Riuscendo a coalizzare attorno alla sua linea, buona parte del mondo sunnita tra Iraq e Siria. Un mondo, in crisi di rappresentanza, deciso a regolare una volta per tutte i conti con il potere sciita e alawita. Anche alleandosi con il radicalismo islamista.
Proclamando autonomamente la rinascita del Califfato, l’Isis ha lanciato una sfida dall’enorme rilevanza simbolica alla stessa galassia qaedista. Mostrando come uno dei nodi problematici dell’islam, l’essere una religione senza centro, priva di autorità riconosciuta da tutti, si riverberi anche in quel magmatico campo. La Shura dell’Isis ha operato secondo i principi del diritto dinamico, pratica che, nella teoria radicale, consente alla comunità composta dai combattenti del jihad di assumere ritenute solo apparentemente non in linea con le fonti della tradizione. Qui, nel regno del Dio del Politico, sovrano è davvero chi decide nello stato d’eccezione. Forte del suo successo operativo, l’Isis, in una sorta di leninismo religioso, ha deciso di proclamare califfo Al Baghdadi. Quel che resta di Al Qaeda storica, in particolare la leadership di Zawahiri così come le diverse articolazioni regionali, è stato ignorato. Difficile che Al Qaeda nella Terra dei Due Luoghi santi, la penisola araba, o l’Aqmi, le due organizzazioni più forti della rete jihadista, accettino il patto di sottomissione al nuovo Califfo. La crisi di consenso di Zawahiri è anche la crisi delle leadership centralizzate, ritenute incapaci di leggere le esigenze locali del campo del jihad.
Agli occhi di molti al Baghdadi è, dunque, innanzitutto il Califfo dello “Stato Islamico”. Anche se la sigla originaria dell’organizzazione ha perso due delle quattro lettere dell’acronimo, Iraq e Sham (Levante), nell’intento di proporsi come centro unitario. Esaltando così il carattere transnazionale del mito di fondazione dell’islam, che si vuole comunità su base religiosa e non nazionale. E rilanciando la lotta contro le frontiere tracciate dai geografi occidentali dopo la fine dell’impero ottomano. I nuovi seguaci del Califfo iracheno immaginano, per ora, uno Stato islamico sul territorio delle provincie sunnite un tempo teatro dello splendore dell’era abbaside. Ma, in prospettiva, il sogno è quello di riconquistare ogni terra che sia stata musulmana o dove vi siano dei musulmani, dall’Africa all’Europa sino all’Asia. Ovviamente l’ardita pretesa egemonica del nuovo Califfo dipenderà dal suo successo. Se davvero conquistasse Bagdad, distruggesse i luoghi santi alidi di Najaf e Kerbala, sconfiggendo gli odiati sciiti e facendo tremare le “potenze crociate”, quella legittimità sarebbe acquisita una volta per tutte. Ma il progetto di Al Baghdadi ha troppi nemici per riuscire. E molti, anche in campo jihadista, dove le rivalità e i personalismi prosperano, stanno a guardare.
Renzo Guolo, la Repubblica 4/7/2014