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 2014  luglio 04 Venerdì calendario

CALIFFATO, IL MITO ISLAMICO NATO A FAVORE DEI MEDIA

Per ricreare il “califfato” non basta una striscia di territorio che va dalla provincia irachena di Diyala alla siriana città d’Aleppo. Il gruppo di militanti integralisti armati che ha annunciato la rinascita di quell’istituzione religiosa e politica rappresenta molto poco per il miliardo e mezzo di musulmani sparsi nel mondo. L’iniziativa non è tuttavia banale. Vuole essere un’aperta sfida all’Occidente, e a quella parte dell’Islam accusata di essere al suo servizio. Questo è chiaro. Può anche avere toccato la sensibilità di non pochi credenti raggiunti dalla dichiarazione lo scorso weekend, proprio mentre iniziava il digiuno diurno del Ramadam.
Un periodo di particolare fervore religioso. Il momento è stato scelto dai promotori con gli stessi principi che regolano la nostra società dei consumi. Hanno puntato su una stagione propizia. Ed è secondo la stessa mentalità, non proprio adeguata alla tradizione musulmana, che hanno accorciato il nome iniziale (Stato islamico in Iraq e nel Levante), adottando il più breve e incisivo Stato islamico. Un cambiamento tutt’altro che insignificante, perché non designando più un paese e una regione, sparisce la limitazione geografica e risalta il carattere universale. Lo Stato islamico ha molte pretese: scavalca idealmente le frontiere, vuole estendere l’influenza a tutta la comunità musulmana, ricalcando il califfato dei secoli scorsi.
Ma come per le preoccupazioni mediatiche sui tempi dell’annuncio, chi ha lanciato l’idea si è rivelata vittima dell’influenza occidentale. Nessun califfato si è definito nella storia Stato islamico. Nell’Impero Ottomano, sua ultima sede, si diceva, è vero, “Sublime Stato”, ma si usava soprattutto “Sublime porta”. Gli integralisti sono stati ispirati piuttosto, sia pure inconsciamente, dallo Stato — nazione di stampo europeo. Il quale ha poco in comune con i valori all’origine del califfato. Il cui carattere universale, religioso anche se nei secoli politico e guerriero per lunghi tratti, non consente di riconoscersi formalmente dei confini. Il califfato non è accostabile al papato. È un’altra cosa. Ma a un cristiano, che abbia soltanto sfogliato i libri di testo riguardanti la propria storia, tutto questo è comprensibile.
Non è comunque “storica” la proclamazione del califfato. Sarebbe azzardato definirla tale. Contraddizioni e improvvisazioni mettono in luce la scarsa credibilità. Sarebbe stato più sensato se i promotori dello Stato islamico avessero annunciato la nascita di un semplice emirato. Il quale implica un’estensione territoriale più modesta, e comporta meno ambizioni religiose. I Taliban, non certo esemplari nella moderazione, pur occupando il novanta per cento dell’Afghanistan, si sono limitati a dichiarare un emirato. Cosi hanno fatto gruppi ispirati da Al Qaeda, nello Yemen e nel Mali. Non si sono montati la testa al punto da lanciare l’idea di un califfato. Avrebbero fatto sorridere. Nel fanatismo non manca del tutto il senso della misura.
Se i guerriglieri con le bandiere nere che spadroneggiano tra la provincia irachena di Diyala e la città siriana di Aleppo, zone a stragrande maggioranza sunnita, non suscitano ironia, ma orrore, è perché hanno fatto precedere la proclamazione del califfato con decapitazioni, crocifissioni e profanazioni di santuari sciiti, sufi e cristiani.
E perché li hanno pubblicizzati, mostrando video e fotografie, come se si trattasse di lanciare un prodotto o una moda. Anche la pretesa nascita del califfato rientra nella grande operazione mediatica. È stato un colpo di scena.
Persino il dottor al-Zawahiri, successore di Bin Laden alla testa di Al Qaeda, e grande esperto in terrorismo, si è scandalizzato. Ha capito che l’annuncio del califfato era un episodio, un colpo basso, nella gara tra gruppi jihadisti. Per questo l’ha condannato. Al-Zawahiri li conosce bene quei suoi discepoli smarriti. Un tempo li ispirava Al Qaeda. Concorrente dello Stato islamico, in Siria, è ad esempio Jabath al-Nusra, altro gruppo radicale sunnita. È stato al-Baghdadi, nato Brahim al-Badri nella città irachena di Samarra, a dichiarare il califfato e quindi a promuoversi califfo. Alle origini era il modesto chierico in una moschea sunnita, poi si è diplomato in pedagogia all’Università di Bagdad. La sua esperienza come terrorista è stata lunga, durante l’occupazione americana dell’Iraq. Quando furono tagliate e poi mostrate le teste di alcuni ostaggi occidentali lui era un giovane gregario. In seguito ha fatto carriera e ha fondato un suo movimento, fino a farne lo Stato islamico.
Oggi è abbastanza sfacciato da considerarsi un discendente di Abu Bakr, il primo califfo. E califfo significa successore. Bakr fu appunto il successore di Maometto, alla sua morte, nel Settimo secolo. Come istituzione il califfato è rimasto al centro dell’Islam. Ha condotto alla rottura tra sunniti e sciiti, rivali nella lotta di successione al Profeta, e adesso ancora a confronto sul piano comunitario e religioso, in Iraq e in Siria. A fasi alterne, nei secoli, il califfato ha rappresentato una forza militare o ha esercitato un’autorità religiosa, o un’istituzione simbolica. O le due insieme. La sua ultima dimora è stato l’Impero ottomano, dissoltosi in seguito alla Grande guerra. Nel 1924 la Turchia repubblicana l’ha abolito. La sua rinascita è rimasta un’aspirazione avvolta nel mito. Alcuni movimenti (ad esempio il Partito della Libertà, Hizbal Tahrir, che conta un milione di aderenti nel mondo musulmano, e la stessa Al Qaeda) ne hanno proposto con più o meno insistenza la ricostituzione. Al-Baghdadi è andato oltre le intenzioni: l’ha proclamato.
Il suo è il primo avventuroso ma concreto tentativo di realizzarlo sul serio. Molti musulmani hanno aderito al nazionalismo, opposto all’idea di califfato, altri sono repubblicani o democratici. Ma i gruppi radicali hanno guadagnato terreno. Li hanno favoriti i rais (come l’egiziano Mubarak o il tunisino ben Ali) che giustificavano l’autoritarismo e la corruzione con la necessità di opporsi al fanatismo religioso. Il conflitto israelo-palestinese, gli interventi americani nei paesi musulmani, il fallimento economico di molti paesi arabi hanno fatto il resto. Le “primavere” (con l’eccezione tunisina) sono svanite e con loro, almeno per adesso, i progetti democratici. Il califfato di al-Baghdadi sembra un’allucinazione.

Bernardo Valli, la Repubblica 4/7/2014