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 2014  luglio 04 Venerdì calendario

SUICIDI, AFFARI SPORCHI E UN TESORO SCOMPARSO QUELLA SCIA DI SANGUE E SOLDI NELLA ROMA NERA


ROMA .
L’esecuzione di via della Camilluccia suggerisce, alla squadra mobile di Roma che indaga, due conclusioni. L’omicidio di Silvio Fanella è una faccenda tutta di neri. Ed è una faccenda di soldi. Una montagna. Almeno 60 milioni di euro: il tesoro che “il nero” Gennaro Mokbel, imprenditore-faccendiere di 53 anni, aveva ritagliato per sé nella mastodontica truffa carosello “Fastweb-Telecom Sparkle” e che la Procura di Roma cerca dal 2010 senza fortuna. Il tesoro di cui “il nero” Fanella, lui 41 anni, era stato il contabile e di cui il “nero” Giovanni Battista Ceniti, ieri, era verosimilmente venuto a chiedere conto. Insieme agli altri due killer.
«Sessanta milioni di euro sono un ottimo motivo per uccidere», ragiona adesso un investigatore. Uccidere quell’uomo mette questa storia di fronte a un’ipotesi: chi ha sparato voleva colpire Mokbel e questo cadavere, molto probabilmente, è a lui che parla. Di certo Fanella, che nell’ombra di Mokbel viveva e che verso “l’orologiaio” provava un affetto filiale, non ha fatto l’infame. Per tutta l’inchiesta e poi lungo il processo “Sparkle” non ha mai parlato. Silvio Fanella — condannato a nove anni per la truffa all’erario da 365 milioni, ma presente anche nello scandalo tutto romano dei Punti verdi qualità e amico del mafioso di Ostia Carmine Fasciani — «ha fatto qualcosa da vivo con i soldi di Mokbel che non poteva essere tollerato». Ragionano così, sempre alla mobile. Quei soldi non li ha divisi, li ha tenuti per sé (e per il padre putativo). Già, perché Mokbel, ex terrorista dei Nar, e Fanella, il suo cassiere, erano la stessa cosa. «Quando parla il contabile è come se parlasse il padrone ». Dunque, colpire il primo significa mettere in conto una sfida al secondo. E Mokbel, a Roma, pesa quasi quanto l’altro “nero” che con lui è cresciuto e che si vuole padrone della città criminale o, comunque, garante degli equilibri che la governano. Un nome che molti faticano anche soltanto a pronunciare, Massimo Carminati, l’ex Nar ed ex Banda della Magliana con cui Mokbel, dal giorno in cui è tornato in libertà “per gravi motivi di salute” (giugno 2011) ha riannodato legami che dicono saldi come l’acciaio.
E allora, compresa la cornice, dove bisogna cercare per comprendere il motivo che ha acceso la miccia della punizione? Un investimento sbagliato? Un’operazione di riciclaggio non riuscita? Più facilmente, un’avidità rispetto al resto del “gruppo Mokbel”? È un fatto che, in questa storia, di morti ce ne siano già tre. E che Fanella sia solo l’ultimo. Domenica scorsa è stato trovato suicida il suo avvocato, Antonio Pellegrino. Si era tagliato gola e polsi a casa, e in un primo tempo la notizia non ha avuto altro peso che quello di un dramma privato. La procura, ieri, ha però deciso di aprire un fascicolo per istigazione al suicidio. Fa capire che quel suicidio potrebbe avere un legame con l’agguato mortale dei falsi finanzieri. In questo lavoro a ritroso che gli investigatori stanno realizzando si è messo a fuoco un secondo suicidio. Quello di Augusto Murri, nel maggio 2012, a processo Sparkle appena iniziato: con un colpo di fucile l’uomo si tolse la vita nella tenuta di famiglia nella campagna di Siena. Murri era “lo spallone” del gruppo: portava i soldi di Mokbel in Svizzera e, immediatamente, li riportava in Italia, spesso a Roma, per consegnarli proprio a Fanella, che poi architettava investimenti per ripulirli in cento attività.
Ci sono già tre morti, sì. E ci sono due feriti. Ecco, Giovanni Battista Ceniti, 29 anni, uno dei tre esecutori, grave al Policlinico Gemelli. Il militante genovese a capo della Casapound di Verbania fino (almeno) a 18 mesi fa: le cronache smentiscono le difese affettate del leader dei fascisti del Terzo millennio, Gianluca Iannone, che lo assicura espulso da tre anni. Il secondo ferito è Marco Iannilli, commercialista di 53 anni, faccendiere di Lorenzo Cola, l’uomo ombra del grande capo di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini. Iannilli, ex estremista di destra, era stato picchiato e poi gambizzato da due incappucciati davanti al suo studio. Nel settembre 2010. L’inchiesta non arrivò lontano: non c’erano testimoni, Iannnilli non disse nulla di credibile. Ora anche quell’aggressione prende un’attinenza con l’omicidio di via Gandolfi 19. Il commercialista — gli investigatori hanno trovato traccia nelle carte del processo Sparkle — aveva offerto agli inquirenti dettagli su un flusso di denaro, otto milioni di euro, transitato da Singapore e Hong Kong su un conto di San Marino. Lui, al processo, aveva parlato.
“Il contabile” non c’è più. Come ha ricordato Nicola Di Girolamo, il senatore che Mokbel sprezzantemente chiamava «il mio portiere, il mio schiavo», Fanella «era l’uomo dei numeri, smaltiva tutti i proventi della frode fiscale». Comprava case e gioielli, reinvestiva in negozi. Tornando indietro la mobile ha scoperto che il cassiere aveva rischiato un sequestro. Non molto tempo fa. Un clan lucano voleva punirlo per aver sottratto soldi a un’organizzazione di camorra. Il rapimento non era andato in porto.
Mokbel, l’orologiaio di origini egiziane, significa politica estrema (vantava di aver fatto scarcerare Giusva Fioravanti) e servizi segreti, significa finanziamenti a campagne elettorali di destra e aiuti alla fuga in Libano di Marcello Dell’Utri. Gennaro Mokbel significa, soprattutto, soldi sporchi, sacchi di soldi sporchi. Ieri mattina gli hanno ammazzato l’uomo, “il figlio”, che glieli ripuliva.

Maria Elena Vincenzi e Corrado Zunino, la Repubblica 4/7/2014