Roberta Miraglia, Il Sole 24 Ore 4/7/2014, 4 luglio 2014
DAL BUNDESTAG SÌ AL SALARIO MINIMO
La Germania ha per la prima volta un salario minimo. Il Bundestag, dopo due mesi di infuocata discussione, ha approvato ieri la legge che fissa in 8,50 euro all’ora la paga minima a partire dal 1° gennaio 2015. La riforma interessa quasi 3,7 milioni di lavoratori, soprattutto nei Länder dell’Est; stabilisce eccezioni in alcuni settori vulnerabili per un periodo transitorio di due anni; esclude i lavoratori coperti da contratti collettivi; i minori di 18 anni, gli apprendisti e i disoccupati di lungo termine per i primi sei mesi dal rientro sul mercato del lavoro. Istituisce una commissione imprenditori-sindacati a cui spetterà, in futuro, stabilire il livello del salario.
La larghissima maggioranza ottenuta alla Camera bassa del Parlamento, 535 sì e 5 soli voti contrari, non oscura il dato di fondo della svolta di politica economica più controversa nell’intero Patto di grande coalizione: si tratta di un’importante vittoria dei socialdemocratici che ne hanno prima fatto il cavallo di battaglia in campagna elettorale e poi la condizione per aderire alla maggioranza dominata dai cristianodemocratici di Angela Merkel costretti all’alleanza rosso-nera. Il partito del cancelliere e le associazioni imprenditoriali, oltre che autorevoli think tank, hanno invece osteggiato il tetto minimo per legge preferendo la strada dell’autonomia delle parti sociali. E in molti hanno lanciato l’allarme sul rischio che centinaia di migliaia di posti di lavoro vengano cancellati, in particolare nelle piccole aziende delle regioni meno ricche.
Ma l’Spd di Sigmar Gabriel non ha avuto tentennamenti e ora si gode il successo, forte di sondaggi secondo i quali nove tedeschi su dieci sono favorevoli: «È una giornata storica per la Germania» ha commentato il vicecancelliere mentre il ministro del Lavoro, Andrea Nahles, nel discorso al Bundestag ha parlato di «grande gioia» e sottolineato con enfasi che il paese volta pagina, archiviando il lato oscuro della piena occupazione tedesca. «Lavoro duro, a buon mercato e non protetto. Questa è stata la realtà per milioni di persone in Germania. Ma è finita» ha detto Nahles, ricordando che ci sono voluti «dieci anni di discussioni e di liti» per compiere finalmente questo passo. Il decennio di Merkel, appunto, seguito alla sconfitta dell’Spd di Gerhard Schröder, il cancelliere artefice delle riforme del lavoro - l’Agenda 2010 - che spaccando all’epoca partito e sindacato hanno introdotto flessibilità e ridato slancio al paese in crisi dopo la riunificazione, afflitto da tassi di disoccupazione a due cifre.
Le leggi Hartz, dal nome del capo della commissione istituita da Schröder, hanno avuto il merito di contenere il costo del lavoro e contribuito a dare al paese una competitività invidiata in tutto il mondo. Ma al tempo stesso hanno creato una fascia sempre più ampia di occupati sotto pagati che ricorrono ai sussidi pubblici per vivere. Il nodo del salario minimo è diventato urgente in seguito al calo della copertura degli accordi collettivi scesa dal 70% della forza lavoro del 1998 al 59% attuale. Pur di condurre quindi la legge in porto - manca soltanto il via libera, scontato, del Senato - l’Spd ha accettato più eccezioni di quante ne avrebbe volute, suscitando le critiche furiose di alcuni sindacati. Ma l’uno-due messo a segno insieme all’approvazione della legge che permette il pensionamento anticipato è un risultato pieno. Che ha costretto Merkel, ieri sera, a parlare di «dolorosi compromessi».
Roberta Miraglia, Il Sole 24 Ore 4/7/2014