Morya Longo, Il Sole 24 Ore 4/7/2014, 4 luglio 2014
«SADOMONETARISTI» O «MONETADONE»?
Ha ragione Paul Krugman quando definisce «sadomonetarista» la Banca centrale svedese, perché nel 2010 ha alzato i tassi per raffreddare la bolla del debito finendo per congelare l’inflazione? Oppure Antonio Foglia (Banca del Ceresio), quando definisce «monetadone» le super-iniezioni di liquidità?
Il problema è che, in fondo, hanno regione entrambi: le banche centrali del mondo intero, sette anni dopo lo scoppio della grande crisi finanziaria, sono infatti diventate come i proverbiali elefanti nella cristalleria: comunque si muovano, rischiano di spaccare qualcosa. Se alzano i tassi e rendono la loro politica meno espansiva, rischiano di fare «sadomonetarismo»: cioè di far collassare l’economia del loro Paese, che cresce ma non in modo ancora abbastanza solido. Se invece aspettano, rischiano di somministrare troppo «monetadone» ai mercati finanziari, creando bolle speculative sempre più grandi. E sempre meno gestibili.
La realtà è che la battaglia delle banche centrali, tutte impegnate a far ripartire il loro Paese pur in fasi diverse dei cicli economici, ha creato movimenti di capitali e valutari così ingenti, che le decisioni dell’una finiscono per intralciare quelle delle altre. Forse, dunque, più di tutti ha ragione il governatore della Banca centrale indiana, Raghuram Rajan, quando auspica una maggiore collaborazione internazionale per elaborare una «exit strategy» condivisa.
I RISCHI DEL MONETADONE
La vicenda della Svezia è emblematica. Il Paese era stato uno dei primi ad uscire dalla crisi finanziaria del 2007, tanto che il «Washington Post» nel 2010 definì Stoccolma «la rock star della ripresa». Il problema è che la crescita economica era accompagnata da un eccessivo debito privato: per sgonfiare questa «bolla», nel 2010 la banca centrale ha deciso di alzare i tassi d’interesse, nonostante la disoccupazione fosse ancora elevata e l’inflazione troppo bassa. Morale: quattro anni dopo, il Paese si trova quasi in deflazione ma il debito delle famiglie resta gigantesco (al 170% del reddito disponibile). Così ieri la Banca centrale ha dovuto fare marcia indietro: ha tagliato di mezzo punto percentuale i tassi. La speranza è di far rialzare l’inflazione, ma il rischio è di far espandere ulteriormente il debito privato.
La Federal Reserve Usa si trova oggi più o meno nella situazione in cui la Svezia si trovava nel 2010. L’economia Usa, nonostante quell’eccezionale -2,9% del Pil del primo trimestre, cresce. Anche i dati di ieri lo dimostrano: la disoccupazione è scesa al 6,1%. Si tratta certo di una crescita ancora zoppicante (il tasso di disoccupazione, per esempio, cala anche perché meno americani cercano lavoro), ma pur sempre di crescita si tratta. Questo giustificherebbe, secondo molti economisti tra i quali Marco Valli di UniCredit, una politica monetaria meno espansiva. Più sobria.
Eppure mercoledì sera il numero uno della Fed, Janet Yellen, ha fatto capire che non alzerà i tassi prima del previsto (giugno 2015.) Noncurante delle bolle speculative che ormai si gonfiano ovunque ed etichettando come «rumore di fondo» l’inflazione Usa (ormai salita al 2% e in veloce ascesa), Yellen non sente dunque il bisogno di velocizzare i tempi. Li sente un po’ di più la Banca centrale inglese, che dopo anni di iniezioni di liquidità si trova a fare i conti con una bolla immobiliare che fa paura a tutti. Per questo gli economisti pensano che sarà la prima ad alzare i tassi. Mentre la Bank of Japan resta abbondantemente espansiva.
I RISCHI DEL SADOMONETARISMO
Il problema è che le decisioni di queste banche centrali creano non pochi problemi alle altre. Per esempio alla nostra Bce, che si trova a gestire un ciclo economico in Europa ben più depresso. Più la Fed allontana il rialzo dei tassi, più il dollaro resta debole nei confronti dell’euro. Questo crea un effetto deleterio in Europa: l’euro troppo forte da un lato importa deflazione, dall’altro zavorra le esportazioni e dunque la ripresa economica. Questo complica il lavoro della Bce, che storicamente ha fatto del «sadomonetarismo» uno stile di vita.
Il lavoro dell’Eurotower è forse quello più difficile: la Bce ha uno statuto molto rigido e, per di più, gestisce un’area monetaria fatta di economie troppo diverse le une dalle altre. Trovare una politica monetaria che vada bene per tutti è dunque difficile. Il presidente Draghi sta ora avviando una serie di politiche per far ripartire il credito bancario alle imprese. Ma fin che l’euro resta così forte, nonostante la debolezza dell’economia, ripresa e inflazione saranno difficili da agganciare.
La Bce dovrebbe dunque lasciarsi andare al «monetadone»? Difficile trovare la ricetta giusta. Di certo la sfida del futuro è uguale per tutte le banche centrali: riportare, prima o poi, il mondo alla normalità. A una crescita sana, non drogata dalla liquidità né dalle bolle speculative. Senza eccessive diseguaglianze sociali. Senza speculatori finanziari ricchi e popoli ridotti alla povertà. Possibilmente, più prima che poi.
m.longo@ilsole24ore.com
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 4/7/2014