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 2014  luglio 04 Venerdì calendario

PER FARE UN SUPERMERCATO, 40 ANNI


Pro memoria per il ministro della semplificazione burocratica, Marianna Madia. È successo a Prato. Dove Bernardo Caprotti, 89 anni, s’è presentato, quasi di nascosto, confuso tra la folla, all’inaugurazione del suo ultimo maxi-store. Quando l’hanno riconosciuto, ha ammesso: «Volevo vedere da cliente come vanno le cose...». E ha aggiunto. «Sapete, dopo 12 anni...». Sì, la sua prima firma, che avviava l’iter per la realizzazione del superstore, risale a ben 12 anni fa. È questo il tempo che c’è voluto per riuscire ad aprire le porte (un tempo si sarebbe scritto: ad alzare le saracinesche). Caprotti ha speso tenacemente una vita per sviluppare il suo piccolo impero di supermercati (Esselunga) e per battagliare con tutti: dalle coop, accusate di concorrenza sleale per via dei privilegi nelle regioni rosse (ha perfino scritto un libro intitolato Falce e Carrello), ai figli, esautorati dalla guida del gruppo per dissensi strategici e caratteriali. Ma la sua bestia nera è la burocrazia. «I 12 anni di Prato?», dice. «L’ho messa bene. A Novara ho dovuto aspettare 20 anni per inaugurare e a Galluzzo (Firenze) dopo 42 anni devo ancora tagliare il nastro. E guardi che ognuna delle mie strutture di vendita dà lavoro a un sacco di persone».
Duecento le assunzioni a Prato, per l’Esselunga Leonardo da Vinci, che sorge (da pochi giorni) al posto di Pratilia, il primo centro commerciale toscano rilevato (e demolito) da Caprotti, che lo ha trasformato in un superstore a due piani, 14 mila metri quadrati, la metà destinati a supermercato, il resto a negozi, servizi, parcheggio. Settanta milioni di investimento che potevano essere un volano economico per una vasta area già molti anni fa se gli intoppi burocratici non ci avessero messo tante volte lo zampino. È qui che è venuto Caprotti, per saggiare la sua nuova creatura e per inaugurarlo ufficialmente. Dice: «Quante volte, preso dallo scoramento, ho pensato di abbandonare la partita. Poi ho resistito e sono arrivato in fondo, ma 12 anni sono tanti e si rischia di arrivare con uno scenario economico che è profondamente diverso rispetto a quello di quando hai preso la decisione. In Italia realizzare progetti è difficile, stiamo andando indietro su infrastrutture, aeroporti, logistica. Per fare una rotonda, a un incrocio, occorrono in media tre anni: scherziamo?».
Spera nell’annunciata sforbiciata alla burocrazia promessa da Matteo Renzi e da Marianna Madia, il presidente del consiglio gli ha twittato gli auguri in occasione dell’avvio dello store proprio nella sua regione, sorvolando beninteso sui 12 anni di attesa. Tra poco, sempre in Toscana, ne dovrebbe essere inaugurato un altro, a Galluzzo, a sud di Firenze. Ma in tante occasioni il traguardo sembrava vicino e poi si è trasformato in miraggio. Anche questa volta all’orizzonte si sta profilando un nuovo ostacolo imprevisto: un by-pass, 3,5 chilometri di strada, che deve realizzare Autostrade per l’Italia per permettere al traffico della Firenze-Siena di saltare il quartiere per entrare in città. Il Comune ha subordinato l’inaugurazione del supermercato all’apertura del by-pass. Peccato che l’inaugurazione del raccordo dovesse avvenire, secondo gli impegni, nel 2008.
«Lì nel 1971», racconta Caprotti, «acquistai un’area per costruire un ipermercato che oggi, dopo quarantadue anni, non ha ancora visto la luce: quindici anni per ottenere il cambio di destinazione d’uso del terreno, tre anni per l’approvazione del piano guida, quattro per il piano urbanistico esecutivo e altri tre per il permesso di costruire. Adesso il by-pass. Questa è la realtà dell’Italia».
Secondo i rapporti internazionali nel nostro paese il tempo medio per ottenere un permesso di costruzione è di 231 giorni, con un costo che può arrivare fino a 64 mila euro. In Germania bastano 97 giorni, 99 se il costruttore vive a Londra, 182 se si trova a Madrid dove però il costo medio per avere il via libera a costruire precipita a 12 mila euro. La Banca mondiale ci pone all’84esimo posto per facilità di fare impresa su 185 Paesi. Si tratta di numeri da non sottovalutare perché c’è di mezzo il pil, lo spread e l’occupazione, cioè la tenuta complessiva del sistema economico e sociale. «La burocrazia costa 31 miliardi di euro all’anno», dice Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre. «Una piccola impresa ha un peso burocratico di settemila euro l’anno».
Conferma Caprotti: «Il fatto è che investimenti importanti vengono bloccati da cavilli». Si leggono tanti commenti sui numeri che indicano che si investe poco, ma come si fa a investire se bisogna aspettare 12 anni (a metterla bene) perché l’investimento dia (forse) un reddito? Renzi e il suo ministro Madia, dove siete? Caprotti li incalza: «Un’azienda si avventura ogni giorno in una giungla di norme, regole, controlli, ingiunzioni, termini, divieti che cambiano continuamente col cambiare delle leggi, dei funzionari, dei potenti. Uno slalom gigante con le porte che vengono spostate mentre scendi. Poi c’è un esiziale carico fiscale atto solo a sostenere tutto ciò che nel Paese è sovvenzionato».
Con quello appena inaugurato a Prato, Caprotti si avvia verso i 150 superstore in sei regioni, con 20 mila dipendenti e un fatturato di 6,9 miliardi di euro (il risultato operativo è 328 milioni). La quota di mercato è del 10% e potrebbe avere un balzo in avanti se Esselunga riuscisse a concretizzare i suoi piani di espansione in una regione in cui fino a ieri non era presente, il Lazio. Ma il fuoco di fila dei piccoli commercianti e anche di chi gestisce bancarelle rionali ha convinto il sindaco, Ignazio Marino, a fare surplace. «A Roma i nostri urbanisti», dice Caprotti, «si sono recati duemila volte in dodici anni nel tentativo di superare ostacoli di ogni genere, per incontrare adesso il niet del nuovo sindaco del quale si può dire soltanto che è un po’ opinionated».
La querelle riguarda il progetto dell’ipermercato Esselunga all’Infernetto, tra l’Eur e Ostia. C’è stata un’interrogazione parlamentare («per conoscere l’impatto che la struttura provocherebbe al delicato equilibrio idrogeologico della zona»), mentre alcune associazioni hanno sollevato la questione che il Comune non avrebbe richiesto il parere vincolante del Consorzio di bonifica Tevere e Agro Romano per verificare il rischio idrogeologico sul parco commerciale. Per ogni problema c’è il time out e si rimane a braccia conserte per non si sa quanto tempo.
Avviene così a Roma, ma il copione si ripete a Genova e Mantova, dove vi sono store da aprire che non si aprono. E siamo in crisi.
Giorgio Ponziano