Alessandro Zaccuri, Avvenire 4/7/2014, 4 luglio 2014
SHAKESPEARE, UN OTELLO ALLA PROVA
Lost in La Mancha, “Perduti nella Mancia”, è il titolo del film con cui Terry Gilliam ha cercato di raccontare l’impossibilità di girare un film tratto dal Don Chisciotte. E come Lost in Cyprus , “Perduti a Cipro”, si presenta lo spettacolo “sulle tracce di Otello” con cui si è inaugurato l’altra sera al Teatro Romano il Festival shakespeariano che – dal lontano 1948 – riporta a Verona il poeta di Giulietta e Romeo .
Due gli spettacoli in cartellone per l’estate del 2014, anno in cui cade il 450mo anniversario della nascita di Shakespeare. E due nuove traduzioni, affidate entrambe alla poetessa Patrizia Cavalli, che si è così misurata con la partitura scintillante della Dodicesima Notte (il debutto è atteso per il 16 luglio) e con lo stile, vivacissimo e corrusco, di un Otello che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto vedere Pappi Corsicato alla regia, Valentina Cervi nel ruolo di Desdemona e Giuseppe Battiston in quello del protagonista. Unico superstite del progetto originario, lo stesso Battiston ha assunto la direzione dello spettacolo, avvalendosi della collaborazione di Paolo Civati e allestendo una sorta di “ Otello alla prova” che non pretende di avere la compattezza drammaturgica dei Promessi Sposi rivisitati da Testori, ma pure non rinuncia a evocare precedenti impegnativi.
Se seguiamo lo spunto cinematografico del titolo, infatti, il maestro degli allestimenti impossibili è indubbiamente Orson Welles, che Battiston ha impersonato sulla scena in un fortunato monologo propiziato, tra l’altro, dal suo poderoso aspetto fisico. Welles, che prima gira un Macbeth e poi, non senza fatica, realizza un magistrale Otello , ma non riesce a terminare il suo Mercante di Venezia, di cui sopravvivono spezzoni, frammenti, metri preziosi di “girato” che non riescono a comporsi in un’opera unitaria. È questa la triangolazione da ricordare per capire quello che Battiston e i suoi compagni d’avventura cercano di fare con Lost in Cyprus.
L’attore-capocomico – che di recente ha vestito con successo i panni di Macbeth – si presenta davanti al pubblico per una breve introduzione: siete qui per Shakespeare, dice, Shakespeare è parola e noi quella vi daremo, molta parola e giusto un po’ di azione scenica. Ecco quindi che la gestualità si riduce al minimo (non senza qualche trovata efficace: il nerofumo di cui Otello si impiastriccia la faccia è la tinta adoperata dai guerrieri per mimetizzarsi in battaglia), la scenografia di Carlo De Marino è una scabra parete in legno e il resto sono leggii che vanno e vengono, sui quali la compagnia legge, o finge di leggere, il copione. Battiston dà il meglio di sé nello staccato della dizione, lo Jago di Francesco Rossini tende a esagerare, la Desdemona di Federica Sandrini è forse più attonita che appassionata, in contrasto con la consapevole Emilia di Valentina Fois. I momenti di fascino non mancano, ma restano come isolati. Più che altro, a perdersi davvero è la lenta progressione della gelosia in Otello, un’intossicazione graduale alla quale si sostituisce qui il passaggio repentino dall’amore alla furia. Imperfetto o, meglio, “impossibile” finché si vuole, Lost in Cyprus ha comunque il merito di proporsi come l’esempio più evidente di una tendenza alla rielaborazione dei testi shakespeariani che, almeno in Italia, procede ormai secondo i criteri della riduzione e della condensazione. Come se il Bardo tutto intero, ormai, non ce lo meritassimo più e dovessimo accontentarci di indizi, tracce, fantasmi.