Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  luglio 04 Venerdì calendario

LA RICETTA PUBBLICO-PRIVATO VA IN CLASSE A NEW ORLEANS

Un sistema educativo allo sbando. Un u­ragano. Un esperimento di autonomia scolastica che solleva l’istruzione di un’intera regione e fa da modello al resto degli States. Vent’anni dopo l’apertura della prima “charter school” americana, in Minnesota, il di­stretto scolastico di New Orleans sta per diven­tare il primo negli Stati Uniti ad essere compo­sto esclusivamente da scuole pubbliche gesti­te privatamente. Il mese scorso le ultime cin­que elementari tradizionali della città sulle sponde del Mississippi hanno chiuso le porte. Nel corso dell’estate, tutti i 33mila bambini del distretto saranno inquadrati in una delle 58 scuole charter sulla base di un’estrazione a sor­te. La svolta, per la sua novità e portata, ha su­scitato allo stesso tempo entusiasmo e scettici­smo. Ma ha certamente regalato un’insperata seconda opportunità a migliaia fra le famiglie più povere d’America.
Il caso di New Orleans è difficilmente ripetibi­le, la conseguenza imprevista di uno dei più gravi disastri naturali nella storia americana, costato la vita a più di 1.800 persone, che ha of­ferto ai riformatori l’occasione unica di rico­struire il sistema scolastico da zero. Nel 2005, quando le acque del Golfo del Messico si sono ritirate, la Louisiana ha infatti assunto il con­trollo diretto delle scuole di New Orleans, to­gliendole di mano a una commissione scola­stica nota più per la corruzione dei suoi vertici che per la sua efficacia. Poi lo Stato ha fatto un passo indietro. Dei 45 miliardi inviati da Wa­shington per la ricostruzione della capitale del jazz, ne ha indirizzati due alla ristrutturazione di edifici scolastici pubblici, con la precisa in­tenzione di consegnarli a costo zero alle asso­ciazioni che si sono impegnate a gestirli in ba­se a standard di qualità. I risultati per ora sono incoraggianti. Negli ultimi sette anni le charter hanno garantito un aumento costante del li­vello accademico e una diminuzione del tasso di abbandono scolastico.
«Dieci anni fa la migliore studentessa delle su­periori della città, che era stata premiata dal sin­daco per i suoi voti, non aveva superato l’esa­me statale (l’equivalente della nostra maturità, ndr) – spiega Jessica Williams, esperta di istru­zione dell’organizzazione nonprofit di New Or­leans “The Lens” –. Le charter hanno offerto ai genitori un’alternativa. Siamo passati dal 65% di scuole fallimentari al 6». I numeri del prima e del dopo non finiscono qui. Prima di Katrina, solo il 54% degli studenti si diplomava. Oggi la percentuale è del 78. E due terzi dei bambini del­le elementari leggono al livello previsto dalla lo­ro classe, contro un quinto nel 2004. Ora, però, il gioco cambia.
Come fa notare Williams, a settembre le char­ter si troveranno a dover gestire la responsabi­lità di portare tutti i ragazzi, senza eccezioni, a livelli competitivi con il resto della nazione. Un conto, infatti, è essere un istituto a vocazione particolare che può scegliere i suoi insegnanti e persino, entro certi limiti, i suoi studenti. Un altro è dover offrire l’istruzione pubblica al­l’intera popolazione di una città fra le più po­vere, con profonde sacche di disagio sociale.
La nazione è ansiosa di sapere come andrà a fi­nire. In America, 42 Stati su 5 0 incoraggiano l’al­ternativa delle scuole charter, ma l’unico altro distretto dove questa formula ha una presenza cospicua è quello della capitale Washington, dove il 44% degli studenti siede ai banchi di i­stituti che non sono né del tutto statali né pri­vati. Ci sono più di 6mila scuole charter negli Stati Uniti, che educano ogni anno 2 milioni e 300mila allievi. «Al centro di quello che stanno facendo a New Orleans c’è sia un’idea statalista che un’idea privatista – dice Edward Cremata del Centro per la ricerca sull’educazione del­l’Università di Stanford –. Da un lato l’idea che lo Stato abbia il potere di chiudere le scuole più deboli e fallimentari. Dall’altro che possa offri­re al privato sociale di trasformarle. Il concetto sta prendendo piede. Ma solleva domande. Co­me si misura la qualità? Solo in termini di ri­sultati ai test di fine anno? E come si seleziona­no i gestori di charter migliori?».
La risposta di New Orleans finora è stata una sorta selezione darwiniana. Non solo le scuole pubbliche che non funzionavano sono state smantellate, ma in cinque anni già sette char­ter school che non avevano rispettato gli stan­dard imposti dallo Stato hanno dovuto chiu­dere i battenti. Ma molti educatori fanno nota­re che l’esperienza di New Orleans non è solo un test che deciderà il successo o il fallimento del formato “charter”, né una corsa ad elimina­re tutto il vecchio in nome del nuovo. Invece, è un passo verso una maggiore autonomia del si­stema scolastico che può fornire spunti di rifor­ma anche agli istituti pubblici. «New Orleans è la città più emozionante nel Paese per quanto riguarda l’istruzione – argomenta Kate Mehok, una delle fondatrici di Kipp, la scuola autono­ma che ha rivoluzionato Harlem, a New York –. Permettere ai genitori di scegliere la scuola do­ve vogliono mandare i loro figli non può esse­re che un bene».