Fausto Biloslavo, Il Giornale 4/07/2014, 4 luglio 2014
«PARIGI ORDINÒ DI ELIMINARE GHEDDAFI»
[Intervista a Ignazio La Russa,] –
«L’Italia non ci ha guadagnato» dall’intervento armato della Nato in Libia. «Parigi accese la miccia e ci spinse all’azione» ed «eliminare Gheddafi non era un obiettivo nascosto». I francesi puntavano «a colpire il colonnello in maniera mirata, come fanno gli israeliani». Lo rivela al Giornale, Ignazio La Russa, ministro della Difesa nel 2011 ai tempi dei bombardamenti sulla Libia. A Parigi regnava Nicolas Sarkozy, oggi sotto inchiesta in Francia per varie ombre sui finanziamenti elettorali, compresi milioni di euro che sarebbero arrivati da Tripoli. Gheddafi, che avrebbe potuto raccontare in un tribunale la sua versione dei fatti, è stato ucciso.
Quale fu il ruolo della Francia del presidente Nicolas Sarkozy nell’intervento armato contro Gheddafi?
«La Francia accese la miccia e ci spinse all’azione. Parigi ruppe gli indugi e costrinse gli altri paesi a una scelta affannosa. È vero che Gheddafi bombardava i civili, ma i francesi non aspettarono il via libera degli organismi internazionali e agirono subito. Ciò impedì un’azione diplomatica alternativa».
Il governo italiano cosa pensava veramente dei bombardamenti?
«Berlusconi era il più restio a intervenire contro Gheddafi sospettando che l’atteggiamento della Francia fosse una reazione al rapporto vantaggioso che si era creato fra Italia e Libia».
È vero che Parigi voleva scalzare l’Eni per mettere le mani sulle risorse energetiche libiche?
«Secondo Berlusconi i francesi erano invidiosi e Parigi puntava a spodestare le nuove relazioni Italia-Libia servite a ridimensionare i flussi migratori verso l’Italia. Non c’era solo il problema dell’immigrazione da risolvere, ma siamo anche riusciti a consolidare il rapporto privilegiato nell’approvvigionamento energetico».
Berlusconi rimase molto turbato dal bombardamento mirato a Tripoli, che aveva come obiettivo il colonnello, ma uccise uno dei suoi figli. Chi l’ha voluto e qual era la bandiera dei caccia?
«Noi non partecipammo. A memoria non ho un ricordo preciso, ma credo che i francesi ci fossero, anche se nel raid erano coinvolti più assetti di diverse nazioni. In ogni caso alla Francia era attribuita la principale iniziativa di colpire Gheddafi in maniera mirata, come fanno gli israeliani. Noi non alzammo mai in volo i nostri caccia per bombardare case, famiglie, o figli del colonnello. Parigi non aveva la stessa logica».
Le risulta che nella lista di obiettivi della Nato fossero state inserite dai francesi le nostre infrastrutture petrolifere in Cirenaica?
«Mi risulta che siamo riusciti a ottenere un meccanismo non previsto: nelle riunioni per la pianificazione degli obiettivi c’era un nostro ufficiale con il cartellino rosso. L’Italia aveva deciso di non partecipare a determinate missioni, che comportavano il rischio di colpire obiettivi non militari. Il cartellino rosso fu alzato diverse volte per la vicinanza di centri abitati e civili».
Ci sono sospetti su coinvolgimenti di agenti stranieri nella morte di Gheddafi. Cosa ne pensa?
«Sapevamo che c’erano agenti di vari paesi che operavano in Libia. Non esistono prove certe, ma probabilmente anche nel frangente della morte di Gheddafi c’erano degli stranieri. Non in quell’occasione, ma anche noi avevamo personale sul terreno, che raccoglieva informazioni».
Nella morte del colonnello erano coinvolti i francesi?
«Non ho mai ricevuto rapporti a riguardo. I francesi, però, non erano i soli a puntare in maniera mirata sul colonnello. Anche gli americani pensavano che fosse una soluzione. Non me l’hanno mai detto direttamente a livello politico, ma i nostri militari riferivano che eliminare Gheddafi era un obiettivo non nascosto».
E noi cosa facevamo sul terreno?
«Prima dei bombardamenti l’attuale capo di stato maggiore dell’esercito, generale Graziano, andò di persona a Bengasi, quartier generale dei rivoluzionari (per preparare il terreno all’invio di addestratori, ndr). Sul terreno l’Italia mantenne sempre delle fonti informative».
Oggi la Libia è infiltrata dai terroristi, in mano alle milizie e punto di imbarco di decine di migliaia di migranti diretti verso le nostre coste. Era meglio lasciare Gheddafi al suo posto?
«Se ci fosse stata una possibilità di scelta forse sarebbe stato meglio. Però la storia non si fa con i se o con i ma. È stata la primavera araba a scatenare una serie di reazioni che hanno portato alla caduta di Gheddafi. Sicuramente l’Italia non ci ha guadagnato. In termini economici e di sicurezza non ne ha tratto alcun vantaggio».
Come si risolve l’invasione dei migranti dal mare?
«In Libia, di fatto, non esiste più un ordine costituito. Se vogliamo impedire tragedie come quelle di questi giorni non bisogna farli partire. L’Italia deve andare davanti alle coste libiche e se necessario usare la forza per far tornare indietro i barconi. Bisogna risolvere il problema di chi ha diritto all’asilo, i veri rifugiati, ma i clandestini vanno fermati in mare nelle acque territoriali di Tripoli. E se qualcuno cerca di impedirlo lanciamo operazioni militari contro i trafficanti di uomini».
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