Sergio Romano, Corriere della Sera 4/7/2014, 4 luglio 2014
L’ITALIA NELLA GRANDE GUERRA. GLI INTERVENTISTI E LE LORO RAGIONI
Sui giornali in questi giorni ricorre spesso l’attentato di Sarajevo, che diede origine alla Grande Guerra, ma non ho trovato traccia delle responsabilità dei nostri Futuristi, Papini compreso. I sostenitori del bellicismo non sono affatto scomparsi, anche se si mascherano sotto mentite spoglie. L’Europa di oggi presenta molte analogie con tale periodo prebellico. Riemergono vari nazionalismi (Nord - Sud, Est- Ovest, Russia -Ucraina e via di seguito). Forse la storia ha insegnato ben poco e dimentichiamo che, solo dopo che le guerre si sono fatte, ci si accorge che se ne poteva benissimo fare a meno.
Piero Campomenosi
pierocampomenosi@libero.it
Caro Campomenosi,
Quasi tutti i futuristi furono interventisti, molti furono volontari e alcuni (fra cui un grande architetto, Antonio Sant’Elia) morirono al fronte. Ma i «responsabili», come lei ama definirli, furono molto più numerosi. Nella folta pattuglia degli interventisti vi furono socialisti espulsi qualche anno prima dal partito, come Leonida Bissolati e Ivanoe Bonomi, e quelli che ne verranno espulsi dopo l’inizio della Grande Guerra come Benito Mussolini. Vi furono sindacalisti rivoluzionari come Edmondo Rossoni e Filippo Corridoni. Vi furono democratici e liberali come Gaetano Salvemini, Giuseppe Antonio Borgese, Giovanni Amendola, Luigi Albertini. Vi furono i nazionalisti dell’Associazione creata da Luigi Federzoni. Vi furono infine molti esponenti dell’Italia «irredenta» da Cesare Battisti a Nazario Sauro E vi fu il più noto poeta italiano: Gabriele D’Annunzio. Piuttosto che considerarli «responsabili» dovremmo chiederci perché tante persone, provenienti da orizzonti culturali alquanto diversi, abbiano ritenuto che l’Italia avesse buone ragioni per intervenire nel conflitto.
Per i futuristi, la guerra, come avevano scritto sul loro manifesto, era «la sola igiene del mondo», il salutare scossone che avrebbe reso l’Italia più giovane e dinamica. Per i nazionalisti era l’occasione che le avrebbe permesso di completare la sua unificazione e divenire infine grande potenza. Per i realisti moderati era il prezzo che l’Italia doveva pagare per sedere al tavolo della pace e impedire che i nuovi equilibri, alla fine del conflitto, venissero decisi dietro le sue spalle. Per i democratici infine era una guerra contro il militarismo degli imperi centrali. Avrebbe stroncato le ambizioni egemoniche della Germania imperiale, avrebbe liberato i popoli dell’Impero asburgico e realizzato il sogno mazziniano di una «Europa delle nazioni». Per i rivoluzionari avrebbe sovvertito l’ordine delle gerarchie sociali e favorito l’ascesa del proletariato. Mai tanti uomini combatterono (e morirono) insieme per fini così diversi. Mai tanti idealisti scoprirono alla fine del conflitto di avere fatto la scelta sbagliata.