Paolo Nori, Libero 4/07/2014, 4 luglio 2014
COME LA CODA DEL MAIALE
Un mio amico mi ha detto che lo scorso fine settimana, a Parma, c’è stata una manifestazione, patrocinata dal Comune e chiamata «Parma taste of future», che si proponeva di accreditare Parma come «Città del buon gusto».
A me, devo dire, sembrerebbe una cosa di dubbio gusto il fatto di dire di sé «Noi siamo la città del buon gusto», se non fosse che a me, ogni volta che sento parlare di «Buon gusto», viene in mente un saggio di Gleizes e Metzinger del 1912 che si intitola Du cubisme (Sul cubismo), ed è un saggio nel quale i due pittori cubisti Gleizes e Metzinger scrivevano che era finita l’era del buon gusto e del cattivo gusto e che c’era solo il gusto. Nel 1912, 102 anni fa.
Però, sono andato a vedere su Internet, questa manifestazione l’han fatta davvero, e a testimoniarlo hanno lasciato un sito che si chiama parmatasteoffuture.com, nel quale si legge che la sede di questa manifestazione era in piazza Garibaldi Giuseppe (per chi non conosce Parma, è la piazza principale, quella dove si incrociano via Mazzini Giuseppe, via Farini Luigi Carlo e via Cavour Camillo Benso conte di). Ma, a parte il cubismo, e quel saggio lì, molto interessante, secondo me, di Gleizes e Metzinger, la nozione di buon gusto collide con l’idea che ho io di Parma.
Che io, non so, quando penso a Parma, l’ho anche già scritta questa cosa, mi vien sempre in mente una volta che ero a Parma, in piazzale della Pace, e attaccato alla Pilotta, che è il palazzo ducale, c’era uno striscione che pubblicizzava una mostra di Alfredo Vicini e riportava una frase, di Alfredo Vicini, che diceva: «L’importante è essere vissuti invano». E a me era sembrata così bella, e così interessante, e così parmigiana, quella frase lì, che avevo pensato che andavo a vederla, quella mostra, solo che poi avevo letto bene, c’era scritto, sul quello striscione: «L’importante è non essere vissuti invano». Allora la frase mi era sembrata meno bella, e meno interessante, e meno parmigiana, e alla mostra non c’ero andato, ero andato a casa.
E uno che, secondo me, ha reso bene lo spirito di Parma, è Bruno Barilli, che in un pezzetto intitolato «Il paese del melodramma» ha scritto che, a Parma, «la plebe portava il tabarro alla spagnola, il cappellaccio calcato sugli occhi, e sputava fuori dai denti con tracotanza parlando a grumi quel dialetto mescolato e gagliardo che ancora dura. Il cosiddetto vino della bassa, mistura schiumosa e spropositata che faceva bum nello stomaco, dava fuoco ai loro discorsi e aggiungeva risonanza all’umore fondo di questi odiatori del genere umano. Popolo turbolento e temibile, popolo che disprezza il villano, odia lo sbirro e massacra la spia dove la trova, quello di Parma», scriveva Barilli, e dava un’immagine dei parmigiani che a me è più familiare, di quella, confezionata, credo, dal Comune, di Parma capitale del buon gusto, e io, alla manifestazione non ci sono andato, ma ho pensato che, se qualcuno mai organizzasse una manifestazione che volesse accreditare Parma come capitale del cattivo gusto, ecco, probabilmente non sarei d’accordo neanche con quella, ma forse quella lì sarei curioso, di andare a sentir cosa dicono.