Stefano Montefiori, Corriere della Sera 4/7/2014, 4 luglio 2014
JANE BIRKIN
«Eravamo nel grande studio di registrazione Fontana a Londra, a Marble Arch. Mi ricordo soprattutto che volevo piacere a Serge, cantare note alte, come mi aveva chiesto lui. Eravamo lontani, Serge mi dirigeva rimanendo distante, con i suoi gesti. Alla seconda registrazione Je t’aime... moi non plus era pronta. Tornati a Parigi l’abbiamo messa al ristorante del nostro albergo, l’Hôtel di rue des Beaux Arts: la gente smetteva di mangiare e rimaneva a bocca aperta, Serge mi ha detto: “Beh, abbiamo una hit!”, non smettevamo di ridere». Jane Birkin si racconta al Corriere. All’inizio del 1969, modella inglese ventenne, la figlia del comandante della Royal Navy David Birkin, separata dal primo marito John Barry, fece sensazione e ottenne una celebrità istantanea con la canzone cantata o meglio sospirata con Serge Gainsbourg, inizio di un amore e di una carriera musicale. Oggi Jane, a 67 anni, passa la sua vita in rassegna, attraverso l e fo to d e l l ’ a m i c a fo to g r a f a Ga b r i e l l e Crawford, pubblicate nel li- bro Attachements (Éditions de la Martinière). «Questo libro è un tributo a cinquant’anni di amicizia straordinaria, sono le nostre nozze d’oro», dice Crawford. Come sorelle «Io e Gabrielle ci siamo conosciute a 18 anni, o forse prima, lei faceva la disc jockey a Londra al club Arethusa dove andavo con John Barry. Più tardi io, lei e suo Barry. Più tardi io, lei e suo marito Michael Crawford uscivamo tutte le sere insieme, siamo diventati inseparabili.
Mio padre, e dopo anche Serge, la chiamavano “l’angelo Gabrielle”». Come funzionano le vostre foto? L’amicizia rende le cose più facili o difficili? «Più facili, non abbiamo paura, non è una cosa troppo seria, io mi lascio andare per lei e so che Gabrielle darà di me la versione migliore». «Io fotografo sempre la mia amica — dice Gabrielle —, non la modella né la cantante, e di sicuro non la star». Il ricordo L’11 dicembre scorso è mancata Kate, la figlia 46enne di Birkin e John Barry, fotografa anche lei, caduta dal quarto piano del suo appartamento parigino. Com’era posare per sua figlia? Il suo stile di fotografa? Riuscirebbe a parlarne? «Kate è sempre “lei”, perfettamente originale, benevola, precisa. Quando foto- grafava, Kate era una specie di regista, con lei ci si sentiva affidati a mani preziose. Kate rendeva le persone squisite, tirava fuori il meglio da loro, era una persona buona. Il suo sguardo era unico perché sapeva che cosa voleva, intima ma rispettosa. Amava gli altri.
Per questo le sue foto sono delle opere d’arte». Una grande famiglia Che cosa pensa invece del successo di Charlotte (la figlia avuta con Serge Gainsbourg)? «Sono estremamente fiera. La trovo un’attrice di incredibile precisione, la migliore della sua generazione. Charlotte è una persona molto orgogliosa e modesta allo stesso tempo. Poi c’è Lou Doillon (la figlia avuta con il regista Jacques Doillon, ndr), che è cantante e autrice, piena di talento. È bello avere tre figlie artiste, così uniche, così diverse tra loro». Lei e Serge avevate indovinato le qualità di Charlotte? O è stata una sorpresa? «Io avevo intravisto qualcosa. Quando era piccola, ho parlato di lei a chi cercava una bambina per il film Paroles et musique di Elie Chouraqui, con Catherine Deneuve. L’hanno presa ed è stata brava. Lo stesso anno Charlotte ha fatto Lemon incest con suo padre. Da quel momento abbiamo cominciato, piano piano, a essere indicati come “i genitori di Charlotte Gainsbourg”». Nel libro, Gabrielle dice che è stata lei, Jane, a creare lo stile di Serge Gainsbourg. È vero?«Certo, è vero. La barba lunga, le Repetto bianche senza calzini... Non mi piacevano i visi lisci, brillanti. La barba di tre giorni dà un’ombra interessante. E poi i calzini sono detestabili, i piedi nudi sono più attraenti. Ho trovato le scarpe di Serge (il modello che poi avrebbe portato tutta la vita, diventate un’icona) in una cesta di saldi da Repetto, il fornitore delle ballerine. E poi i gioielli da donna, gli zaffiri, i braccialetti... Queste cose gli stavano benissimo». Interviene Gabrielle Crawford: «Jane è sempre stata avanti, guardate la moda di oggi, ci sono un milioni di esempi di come il suo look è stato copiato.
Serge si fidava di lei, amava che fosse Jane a vestirlo. Ma era anche un uomo molto forte, non avrebbe mai accettato un’immagine nella quale non si sentiva a suo agio». Passa spesso nella casa di rue de Verneuil, quella di lei e Serge? Che pensa dei graffiti dei fan sui muri? «Ci passo, ma non mi fermo mai. I graffiti mi fanno piacere, mostrano l’amore che la gente nutre tuttora per lui». Gli uomini Da suo padre, che durante la guerra aiutava gli uomini della Resistenza francese ad attraversare la Manica, a John Barry (il musicista, autore dei temi di 007, Attenti a quei due Io e Kate Mia figlia Kate era una specie di fotografa-regista. Rendeva le persone squisite ed era buona e La mia Africa tra gli altri), a Serge Gainsbourg al regista Jacques Doillon, allo scrittore Olivier Rolin, lei è stata sempre circondata da uomini straordinari. Sarebbe capace di associare una parola a ciascuno di loro per descriverli? «Papà, il mio eroe. John Barry , il grande compositore. Serge, l’artista. Jacques, l’avventura. Rolin, il coraggio». Che cos’è il «birkinesque», la lingua speciale che dicono sia l’unica a parlare? «Non lo so!». «Un mix di francese e inglese, ma inglese classico. Una cosa chic, e intenzionale», dice Gabrielle. Brutto anatroccolo Una volta, in aereo, Jane era seduta accanto al presidente di Hermès, e si è lamentata con lui di non trovare mai una borsetta pratica e elegante. Ne hanno disegnata una insieme, e così è nata la celebre borsa Birkin. È vero che qualche volta, in America, parla della borsa per farsi riconoscere? «Una volta ho detto il mio nome, e mi hanno risposto “Birkin... come la borsa?”. “Sì” — ho detto —, e sarà la borsa a cantare!». Da ragazzina la prendevano in giro per le forme poco abbondanti, perché aveva poco seno. Quando è diventata un sex symbol l’ha presa come una rivalsa? «Non ho mai pensato di essere un sex symbol. Carina, questo sì. Comunque è vero, a scuola i dispetti su di me erano perché ero piatta.
Quando ho cominciato a essere un’attrice e cantante famosa, è stata una bella vendetta».