Sara Menafra, Il Messaggero 4/07/2014, 4 luglio 2014
LA PISTA DEL RAPIMENTO FINITO MALE «TRAMITE LUI ARRIVIAMO AI 50 MILIONI»
L’INCHIESTA
ROMA Avevano già tentato di rapirlo, due anni fa. E anche se nel frattempo Silvio Fanella aveva cambiato quartiere e quel tentativo era finito nelle carte di un’inchiesta della procura di Potenza, anche oggi è questa l’ipotesi che la Dda di Roma considera più convincente per spiegare l’irruzione alla Camilluccia: un rapimento, probabilmente finalizzato a far confessare al cassiere dell’organizzazione di Gennaro Mokbel un segreto che non aveva voluto dire a nessuno. Dove sia finito il tesoro della truffa Fastweb che, al netto di confische e restituzioni dell’Iva da parte delle compagnie telefoniche coinvolte, potrebbe ammontare ancora a circa 50 milioni di euro di cui 26 in diamanti.
«TI PASSO IL MIO PUPILLO»
«Nell’ambito dell’organizzazione, svolge il ruolo di cassiere e contabile», scrivevano di lui gli uomini del Ros all’epoca dell’inchiesta sulla truffa Telecom Sparkle che ha portato alla condanna a 9 anni per Fanella e 15 per Gennaro Mokbel: «Si attivava personalmente per affittare cassette di sicurezza, ove occultare i proventi dell’attività illecita. Si attivava unitamente ad altri sodali, per effettuare il riciclaggio delle attività illecite anche attraverso l’acquisto di diamanti che venivano occultati ad Hong Kong, parte dei quali venivano trasportati in Italia». Un’altra parte, per l’appunto, non è mai stata trovata. All’epoca, Silvio Fanella era il più fidato tra gli amici di Mokbel, il suo figlioccio, con cui aveva un rapporto viscerale e strettissimo tanto che a lui affidava buona parte dei rapporti con Marco Toseroni, la vera mente fiscale della truffa carosello, almeno stando all’inchiesta. «Ti passo il mio pupillo, tieni», diceva quando doveva presentarlo. Ed era poi Fanella a dare le indicazioni su dove e come spostare i soldi in un gruppo che all’epoca, era il 2007, sembrava solidissimo. Oltre a Toseroni, Fanella lavorava a stretto contatto con gli altri due uomini più vicini a Mokbel. Il primo è Augusto Murri, amico soprattutto della moglie del capo ma poi finito nel cono d’ombra. Nel corso dell’indagine si era pentito e un paio d’anni fa è stato trovato morto apparentemente per un suicidio le cui cause non sono mai state chiarite. L’altro fidato è Roberto Macori: aveva il compito di accompagnare il senatore del Pdl Nicola Di Girolamo in Germania per concordare la sua elezione con voti provenienti dalla ’ndrina degli Arena.
IL TENTATIVO DEL 2012
Ora, però, che dall’epoca dorata del gruppo sono passati sette anni, non è chiaro se Fanella e Mokbel fossero ancora uniti come un tempo. I dubbi sono legati al fatto che proprio Macori, l’altro fidatissimo, sarebbe il mandante del precedente tentativo di rapimento a cui è sfuggito Fanella due anni fa, come raccontato dal Quotidiano del Sud. A salvare Fanella l’«insistente presenza di forze dell’ordine nelle adiacenze dell’abitazione del soggetto da sequestrare», scrivevano i Carabinieri del Ros di Potenza. Siamo nel 2012 e Roberto Macori assolda un ex compagno di galera, Giovanni Plastino, per rapire Fanella. E’ Plastino a raccontare al telefono il movente dell’azione: «Io li devo far parlare a quelli, lo devo menare e devo stare insieme con loro quando vanno a prendere i soldi, io devo vedere quando prendono i soldi compare».
I «FINANZIERI»
Nelle telefonate il compagno di cella di Macori parla anche della presenza di uomini della Guardia di finanza, non è chiaro se veri o camuffati, «con il compito di bloccare la viabilità per consentire al commando di attuare il sequestro»: «State insieme a un capo, insieme a un comandante della Finanza oh! Poi quando arrivate più avanti vi mettete il cappuccio e lo tenete con la testa abbassata e lo tenete tutti e due, ed è fatto, io vi aspetto là, come arrivate là». Il particolare è interessante tanto più perché ieri mattina, almeno due uomini del commando che ha bussato alla porta di Fanella fingendo un controllo vestivano la divisa delle Fiamme gialle. E in questo giallo delle coincidenze ce n’è persino un’altra che gli investigatori della Squadra mobile non dimenticano. Tra i membri dell’associazione a delinquere finita agli arresti nel 2010 c’era anche Luca Berriola, ex maggiore della Guardia di finanza.