Ivo Caizzi, Corriere della Sera 4/7/2014, 4 luglio 2014
E SI INCRINA LA MAGGIORANZA DI JUNKER
Lo scontro tra Germania e Italia sulla flessibilità nelle politiche di bilancio può rendere più difficile il già complicato via libera nell’Europarlamento al candidato presidente della Commissione europea, l’ex premier lussemburghese Jean Claude Juncker degli europopolari Ppe, sostenuto fin dall’inizio dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. La super maggioranza tra popolari, socialisti S&D e liberali, che avrebbe dovuto garantire a Juncker almeno il minimo di 376 sì (grazie a 479 seggi su 751), rischia di perdere pezzi nel voto segreto del 15 luglio.
L’appuntamento decisivo è per martedì prossimo, quando Juncker dovrà convincere gli eurosocialisti che — se verrà eletto — non seguirà la linea dura sul rigore finanziario voluta dalla componente tedesca del suo partito. Il Ppe già non è compatto. I membri ungheresi di Fidesz hanno anticipato il «no» al lussemburghese in sintonia con il loro premier Viktor Orban. A Strasburgo, dopo lo scontro in aula tra il capogruppo tedesco del Ppe Manfred Weber e il premier Matteo Renzi di S&D, Giovanni Toti di Forza Italia ha preso le distanze dal vertice dei suoi popolari, conscio che il leader Silvio Berlusconi sarebbe in imbarazzo nell’appoggiare il rigorismo finanziario e il dirigismo di Merkel in Europa. Anche in altre componenti Ppe di Paesi del Sud si tiene conto dei molti elettori contrari alle misure di austerità, che chiedono crescita e posti di lavoro subito. Naturalmente tra gli eurosocialisti l’opposizione al rigorismo della cancelliera risulta ancora più netta.
Prima dell’ultimo Consiglio europeo gli sherpa di Renzi avevano ammesso che i documenti programmatici del Ppe e di S&D risultavano opposti sulla flessibilità nelle politiche di bilancio. «Dopo la presa di posizione del Ppe e di Weber terremo le orecchie dritte su quello che martedì prossimo ci dirà Juncker — ha dichiarato Simona Bonafè del Pd, la più votata alle Europee —. E vorremo capire quale sarà l’applicazione della flessibilità, concordata dal Consiglio europeo e scritta nelle conclusioni». II capogruppo di S&D, Gianni Pittella del Pd, ha minacciato il no al lussemburghese se non garantirà una Commissione più impegnata nell’effettivo rilancio della crescita e dell’occupazione.
Vari eurosocialisti non nascondono i loro malumori. Nella scorsa legislatura criticavano il rigore finanziario, gli aiuti pubblici alle banche (invece che ai disoccupati) e la grande evasione delle tasse. Ora dovrebbero approvare Juncker filo-Merkel, gran promotore delle misure di austerità da presidente dell’Eurogruppo (dal 2005 al 2012) e guida per quasi un ventennio di un Granducato paradiso fiscale, sviluppatosi sul segreto delle sue banche. In più la cancelliera vorrebbe nei due ruoli strategici per il controllo e l’approvazione delle politiche di bilancio il finlandese Jyrki Katainen, che da premier è stato un «falco» filo-Berlino, come commissario Ue agli Affari economici (posto appena occupato temporaneamente), e lo spagnolo del Ppe Luis de Guindos, che ha lavorato per la banca d’affari Lehman Brothers in Europa, alla guida dell’Eurogruppo dei ministri finanziari.
Il caso Juncker nasce dal socialdemocratico tedesco e presidente dell’Europarlamento Martin Schulz, che ha convinto i principali gruppi politici a presentare candidati per la presidenza della Commissione nelle elezioni europee del maggio scorso. L’obiettivo era non far più decidere solo ai governi. Schulz puntava anche a vincere questa corsa. Invece il Ppe ha ottenuto la maggioranza relativa e tocca a Juncker.
Un no al lussemburghese potrebbe far saltare definitivamente la maggioranza di legislatura tra Ppe, S&D e Alde, insieme al nuovo potere di nomina conquistato dagli eurodeputati. Pittella, vista l’aria che tira, fa però un distinguo. « Il capolista del partito più votato diventa solo candidato — spiega —. Se in aula non ottiene la maggioranza, non passa. Ma non si rimette in discussione il metodo concordato».
Ivo Caizzi