Tino Oldani, ItaliaOggi 3/7/2014, 3 luglio 2014
SE OGGI ABBIAMO L’IPAD IL MERITO È PIÙ DELLO STATO CHE DEI PRIVATI È LA TESI DI UN’ECONOMISTA ITALIANA CHE RILANCIA KEYNES IN EUROPA
Un’economista italiana, Mariana Mazzucato, 46 anni, che insegna all’università inglese del Sussex, ha scritto un libro imperdibile («Lo Stato innovatore»; Laterza), che rovescia come un guanto un dogma ideologico, per cui il privato è meglio dello Stato. «L’impresa privata», scrive nell’introduzione, «è considerata da tutti come una forza innovativa, mentre lo Stato è bollato come una forza inerziale, indispensabile per le cose basilari, ma troppo grosso e pesante per fungere da motore dinamico. Lo scopo del libro che avete tra le mani è di smontare questa falsa immagine». Un’operazione che la Mazzucato porta avanti, pagina dopo pagina, con esempi concreti, attingendoli dall’esperienza che si è fatta come insegnante di Economia dell’innovazione, una disciplina pragmatica e moderna, che rifugge dalle teorie astratte.
Basta leggere il capitolo sui più grandi successi tecnologici e commerciali degli ultimi anni, come l’iPod, l’iPhone e l’iPad. Prodotti che hanno fruttato alla Apple 26 miliardi di dollari di profitti solo nel 2011. Pensate che sia tutto merito del compianto Steve Jobs? Tutta farina del sacco di un imprenditore privato e visionario, che nel 2005 ammaliò gli studenti della Stanford University con il celebre «stay hungry, stay foolish»? Certo, ammette la Mazzucato, Jobs «è stato giustamente definito un genio». Ma ciò che il consumatore medio ignora è che «le tecnologie più importanti contenuti nei prodotti Apple sono il frutto di decenni di sostegno all’innovazione del governo federale. Il design e l’integrazione sono merito del genio di Steve Jobs e del suo nutrito gruppo di collaboratori. Ma senza l’enorme mole di investimenti pubblici che è alla base della rivoluzione informatica e telematica, forse avrebbero prodotto soltanto l’invenzione di un nuovo giocattolo, non prodotti rivoluzionari e all’avanguardia che hanno cambiato il modo di lavorare e di comunicare delle persone».
Grazie a una conoscenza non comune delle tecnologie usate sul web, la Mazzucato spiega in modo comprensibile a tutti che le 12 tecnologie più importanti presenti nell’iPod, nell’iPhone e nell’iPad sono il frutto di ricerche compiute in laboratori federali, costate ingenti somme all’erario Usa: invenzioni in origine civili e militari, da cui la Apple ha saputo ricavare prodotti dal grande impatto commerciale senza spendere granché in ricerca e sviluppo. Anzi, mettendo a confronto le maggiori società mondiali del web, la Mazzucato dimostra che la Apple è tra quelle che hanno speso di meno nella ricerca, appena il 2,8%del fatturato, contro il 13,8% di Microsoft, il 12,8%di Google, l’8,3% della Samsung e il 6,1% della Sony.
Per la verità, oltre alla Apple, tutti i giganti del web si sono arricchiti grazie a conquiste scientifiche rivoluzionarie come la magnetoresistenza gigante (fondamentale per l’invenzione del micro disco rigido), che nel 2007 fruttò il Nobel per la fisica a due scienziati europei, il francese Albert Fert e il tedesco Peter Grunberg, e in seguito fu sviluppata grazie al laboratorio Argonne dell’Illinois, il più grande centro di ricerca del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti. Un ruolo simile è stato svolto dal Darpa, dedicato allo sviluppo della tecnologie militari Usa. Dalla chimica dei materiali fino alla scoperta degli schermi multitouch, «la mano dello Stato è stata visibilissima», sostiene la Mazzucato. E molto generosa: la sola Apple ha beneficiato di crediti d’imposta per 8,3 miliardi di dollari, di appalti pubblici rivelatisi decisivi nei momenti di crisi, fino alle misure di stimolo dell’amministrazione Obama nel 2009, quando gli acquisti di tecnologie e attrezzature informatiche sono state classificate come spese per l’istruzione deducibili sul piano fiscale. Un codicillo che ha dato un impulso enorme alla vendita di tablet, computer e software Apple.
Innovazioni come internet, il Gps, lo schermo tattile e il recente assistente vocale Siri «non sono avvenute grazie a venture capitalists o a inventori da garage, non ci sarebbero se avessimo dovuto aspettare il mercato e le imprese» sostiene la Mazzucato. «È stata la mano invisibile dello Stato che ha dato corpo a queste innovazioni». Ma se così stanno le cose, è giusto che miliardi di profitti finiscano nelle tasche dei privati che hanno saputo cavalcare l’onda delle innovazioni scientifiche finanziate dallo Stato? No, tutto ciò non è più tollerabile, sostiene l’economista: «È una disfunzionalità molto malvista del capitalismo moderno, e bisogna evitare che diventi la norma».
Nell’edizione italiana del saggio, la Mazzucato ha inserito una seconda prefazione che fotografa in poche righe l’insufficienza dell’azione dei governi italiani e dei privati nel promuovere la ricerca, e stronca la politica di austerità seguita negli ultimi anni in ossequio al «Fiscal compact». Una politica che tagliando di continuo la spesa pubblica, spesso a partire da quella per la ricerca, non ha alcuna possibilità di rilanciare l’economia, mentre ne ha molte di provocare ulteriori avvitamenti verso il basso, a danno della solidarietà e della fiducia nel futuro. Questo errore di strategia non è solo italiano, sostiene l’economista, ma dell’intera Europa, Germania in testa, e va corretto al più presto seguendo l’esempio degli Stati Uniti, con una politica di tipo keynesiano dove lo Stato deve riprendere un ruolo strategico «nella ricerca, nell’istruzione e nella formazione del capitale umano». Un ruolo che l’Ue potrebbe assegnare alla Bei (Banca europea per gli investimenti), dotandola dei capitali necessari per realizzare progetti mirati. L’alternativa? Per l’Italia e per i Paesi Piigs, essere ridotti a «competere con le nazioni a bassi salari, una cosa che l’Unione europea non può e non deve fare».
Tino Oldani, ItaliaOggi 3/7/2014