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 2014  luglio 03 Giovedì calendario

IL «TESORETTO» POTENZIALE DI 30 MILIARDI PER L’ITALIA


E se quest’euro fosse così forte un po’ anche per colpa dell’Italia? Un paradosso, si dirà. Ma in tutte le esagerazioni c’è un poco di verità. Se guardiamo i numeri della bilancia commerciale nel 2013 (fonte Ocse), troviamo che, a fronte di un deficit di quasi 370 miliardi di euro per gli Stati Uniti, l’Eurozona vanta un attivo di 330 miliardi, grazie ovviamente alla Germania (172 miliardi), all’Olanda (59) e all’Italia (38). Ma, se si pensa che 3 anni fa il saldo commerciale italiano era pesantemente negativo, per il 7° anno consecutivo, i progressi compiuti nel 2012 e 2013 sono stati cospicui: al punto che oltre un terzo dell’incremento della bilancia commerciale della zona euro è arrivato dal nostro Paese. E le previsioni (Ocse) indicano che la tendenza è destinata a continuare quest’anno e il prossimo.
Tutto bene dunque? Non esattamente: perché l’incremento del saldo positivo è avvenuto più per la contrazione delle importazioni, che per l’aumento delle esportazioni. In altre parole, il maggior artefice della ritrovata competitività è stata la recessione che ha pesantemente colpito l’Italia negli ultimi 3-4 anni e che ha ridotto drasticamente i consumi. A Guglielmo Manetti di Intermonte, la presente situazione ricorda un poco quella del 1993, quando una svalutazione della lira di circa il 30% produsse saldi commerciali, nel periodo ’93-’98, tra il 2,1 e il 3,5% del pil. Nella presente contingenza il contributo alla formazione del pil è stato del 2,2% nel 2012 e dell’1,3% l’anno scorso, quando la nostra economia scese del 2,5%. Nel 2014, l’apporto della bilancia commerciale dovrebbe essere in linea.
Non potendo più far leva sulla svalutazione monetaria, spiega Manetti, il riaggiustamento è stato trovato nella compressione del costo del lavoro e nella riduzione dei consumi. In ogni caso, il nostro Paese pare aver ripreso la strada per una migliore competitività internazionale, ponendosi come la seconda economia della zona euro. È tuttavia evidente che la continuazione di questo processo dovrà poggiare su altri fattori e non più solo sui sacrifici e la pazienza dei cittadini. Una di queste componenti sta nel miglioramento dei conti pubblici che potrebbe liberare risorse per investimenti e per ridurre la pressione fiscale.
Al riguardo, Manetti è abbastanza ottimista: anzi più ottimista del governo Renzi o, meglio, dei conti presentati nel Documento di economia e finanza di aprile. Nel Def era stato ipotizzato un costo medio del debito pubblico (spesa per interessi) pari al 3,85% (circa il 5% del pil) per il triennio 2014-2016. Ma i rendimenti di mercato sono fortemente scesi, al punto che il costo dei nuovi titoli emessi, secondo le stime di Intermonte, dovrebbe scendere al 2% quest’anno, all’1,75% il prossimo e all’1,5% nel 2016. Considerato che in ognuno di questi anni vengono rinnovati titoli per il 22-23% dell’esistente e che questa carta è prevalentemente di lungo periodo, il costo medio del debito si abbasserebbe sensibilmente: di 30,4 miliardi, secondo Intermonte, pari all’1,9% (cumulato) del Pil in tre anni. Di conseguenza, il rapporto deficit/pil s’abbasserebbe al 2,1% quest’anno, all’1,4% nel 2015 e allo 0,8% nel 2016 e l’Italia rispetterebbe appieno i criteri contenuti nel patto di stabilità.
In virtù dei calcoli "prudenziali" contenuti nel Def (e sarebbe forse la prima volta che un governo presenta stime approssimate per difetto), Matteo Renzi avrebbe un maggior spazio di manovra a Bruxelles e potrebbe contare su una non disprezzabile eccedenza di bilancio da destinare alla crescita economica. Ben sapendo che la minor spesa per interessi è un’occasione concessa momentaneamente dai mercati e non una condizione strutturale.

Walter Riolfi, Il Sole 24 Ore 3/7/2014