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 2014  luglio 03 Giovedì calendario

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI SALVADOR —

Arriva la notizia che Fabio Capello è stato convocato dal Parlamento russo. Più che un’audizione, un processo. Deve giustificarsi. Deve spiegare cosa è accaduto qui, in Brasile: e poi dovrà anche chiarire quali sono i suoi programmi per il futuro (la Russia, che ospiterà i prossimi Mondiali, non è riuscita a qualificarsi per gli ottavi: 1-1 con la Corea del Sud, sconfitta per 1-0 con il Belgio, altro 1-1 con l’Algeria; 2 punti in totale, e a casa). All’inizio sembra uno scherzo. Sala stampa in agitazione. Cronista prudente di un’agenzia brasiliana: «Sarà il caso di rilanciare?». Sì, è il caso: ecco, c’è la conferma di Igor Ananskikh, responsabile commissione Sport della Duma, camera bassa del Parlamento russo. «Il signor Fabio Capello, allenatore della nostra nazionale, il prossimo 3 ottobre dovrà venire a riferire… ». I toni sono questi. L’eliminazione dai Mondiali è diventata un affare di Stato, anche se per Capello l’accusa è simile a quella rivolta ad altri c.t. che pure hanno fallito (Prandelli, Hodgson, Del Bosque): la squadra ha giocato un pessimo calcio, siamo stati umiliati, è inaccettabile. In verità Capello avrebbe anche qualche giustificazione: la qualità dei giocatori che aveva a disposizione non è minimamente paragonabile a quella dei suoi colleghi, a cominciare dal portiere, Igor Akinfeev, un citofono (niente a che vedere con Buffon, Hart e Casillas). Ma il guaio di Capello è che si è infilato nei guai da solo. È accaduto alla vigilia della partita contro il Belgio, a Rio de Janeiro. Conferenza stampa. Lui in vezzosa camicia rossa, occhiali firmati, orologio da collezione. Accanto, il capitano della nazionale: Vasily Berezutskij (tipo ossuto, faccia da buttafuori). Domanda di un cronista russo al capitano: «Vasily, come mai, al termine della partita contro la Corea, lei e i suoi compagni non avete salutato il pubblico russo?». Vasily ha appena il tempo di schiudere timidamente le labbra. Capello scatta furioso, con un ghigno brutto assai. E urla. Urla come mai gli è capitato prima (eppure ne ha viste e fatte sulla panchina di Milan, Real, Roma, Juve e Inghilterra). «Lei è un bugiardo! Dovete finirla con le falsità!». Il traduttore impiega qualche secondo. In sala stampa scende il silenzio. Cinque giorni dopo, mentre Capello sale sull’aereo diretto a Mosca, il maggior quotidiano sportivo di Russia, Sport-Express , titola: «Dimissioni». Seguono pagine feroci e un articolo sui presunti guadagni del c.t.: 9 milioni di euro all’anno. Così, dopo poche ore, interviene Vladimir Zhirinovsky, leader del partito liberaldemocratico, un nazionalista aggressivo e retorico. «Capello andrebbe cacciato a pedate. È un ladro». Il collega di Russia Giusta, Oleg Pakholkov, rassegnato: «Il problema è che dovremo tenercelo fino al termine del prossimo Mondiale, quando gli scadrà il contratto». Dettaglio (che, se confermato, farebbe di Capello un mito tra gli allenatori del pianeta): secondo informazioni raccolte dall’agenzia di stampa Itar-Tass, il suo contratto prevede, in caso di rescissione, il pagamento da parte della federazione russa d’una penale di 25 milioni di dollari (circa 18 milioni di euro, centesimo più, centesimo meno).
Fabrizio Roncone