Sergio Rizzo, Corriere della Sera 3/7/2014, 3 luglio 2014
«COMMISSARIO AD ACTA» PER ESEGUIRE LE SENTENZE? IL TAR NOMINA IL SUO AUTISTA
Nel Paese dove ogni cambiamento si scontra con interessi di lobby, gruppi di pressione nonché grandi e piccoli poteri burocratici, capita perfino di assistere all’ammutinamento di un Tar.
Siamo a Catania, sede distaccata del Tribunale amministrativo regionale siciliano, di cui il governo di Matteo Renzi aveva previsto l’abolizione. Questa rivolta, però, non c’entra nulla con la minaccia di chiusura. Riguarda, più prosaicamente, la decisione di chiudere il rubinetto di certe consulenze assegnate agli impiegati dello stesso ufficio presa nei mesi scorsi dai vertici della magistratura amministrativa. Decisione tanto indigesta negli uffici catanesi da indurre i giudici del locale Tar a sconfessarla con ben 12-sentenze-12 fra aprile e maggio. Il presidente (ora ex) Biagio Campanella e gli altri due componenti del collegio, Dauno Trebastoni e Maria Stella Boscarino, non hanno avuto dubbi nel considerare inapplicabile il divieto di distribuire incarichi retribuiti, in qualche caso anche lautamente, ai dipendenti.
Che genere di incarichi? Quelli di «commissario ad acta» per far eseguire singole sentenze. Ovvero, una patologia della nostra giustizia che viene curata con una patologia ancora più grave. Quando un’amministrazione sanzionata dal Tar non applica per qualche motivo (oscuro o meno) una decisione del tribunale che la riguarda, viene allora nominato dal giudice un commissario che ha il compito di costringere il soggetto pubblico a rispettarla. Per rendere ancora più maleodorante una faccenda già poco piacevole all’olfatto (ci vuole un signore pagato a parte perché una sentenza venga eseguita!), c’è il fatto che i commissari vengono scelti fra i dipendenti dello stesso Tar. Non magistrati, sia ben chiaro: di solito impiegati con al massimo la licenza di scuola media superiore. Incarichi di commissario ad acta per rendere operative le sentenze, a Catania, erano stati affidati anche a un signore che svolgeva le mansioni di autista per un alto magistrato.
Un andazzo oggettivamente inaccettabile. Così, approfittando dell’entrata in vigore della legge Severino con l’obbligo per tutte le amministrazioni pubbliche di predisporre un piano anticorruzione, il Consiglio di Stato ha deciso di inserire in quello stesso piano il divieto di proseguire con quella pratica esecrabile. E per evitare equivoci, a febbraio il segretario generale Oberdan Forlenza ha scritto a tutti i Tar una lettera nella quale, rammentando la disposizione presa, lasciava intendere che incarichi di quel tipo, per cui vige comunque l’obbligo di un nulla osta, mai più sarebbero stati autorizzati.
Tanto più che non sono affatto gratis: e paga sempre l’Erario. Negli ultimi tre anni sono stati distribuite dal Tar catanese qualcosa come 150 di queste «consulenze». Sette dipendenti soltanto si sono messi in tasca finora 197.196 euro: uno di loro ha incassato 120 mila euro, più che raddoppiando lo stipendio annuale.
E sono proprio costoro che hanno innescato le clamorose sentenze di Catania, con le quali i giudici hanno risposto positivamente alle richieste di poter continuare nello svolgimento degli incarichi: giusto in tempo prima che il presidente Campanella, autore insieme ad altri di quei pronunciamenti, andasse in pensione per raggiunti limiti di età. A fermare la deriva non è servito nemmeno un richiamo del presidente del Consiglio di Stato spedito all’inizio di maggio a tutti i magistrati amministrativi. Una paginetta ustionante, con la quale Giorgio Giovannini ha ricordato che «non è consentito lo svolgimento da parte dei dipendenti della giustizia amministrativa di incarichi di consulente tecnico di parte nei procedimenti giudiziali, di ausiliario del giudice ordinario e amministrativo, nonché incarichi di componente dei collegi arbitrali». Tutto inutile. Come nessun effetto hanno sortito le email che proprio nei giorni in cui scoppiava lo scandalo dell’Expo, e c’era chi teneva a ribadire per posta elettronica a tutti i colleghi l’importanza del ruolo dei Tar in un tale frangente, suggerivano di accendere un faro sulla singolare situazione di Catania. Dove il locale Tar stava di fatto disapplicando un pezzo importante del piano di prevenzione della corruzione varato dai massimi gradi della giustizia amministrativa. Polemiche liquidate peraltro con asprezza dai giudici catanesi, che ribadivano la liceità delle proprie decisioni.
Di più. Evidentemente non paghi di quei ricorsi che avrebbero dato luogo a quelle 12 sentenze di cui sopra, i dipendenti-commissari ad acta hanno promosso perfino una causa davanti al giudice del lavoro per vedersi riconoscere in altra sede il diritto a svolgere quegli incarichi e incassare il relativo compenso. L’udienza è fissata per lunedì 7 luglio.