Alberto Mattioli, La Stampa 3/7/2014, 3 luglio 2014
DALLO CHAMPAGNE AL SILENZIO. ORA QUELLI DEL FOUQUET’S LO VOGLIONO DIMENTICARE - «On en a marre», siamo stufi, sottinteso di questa etichetta di tempio del sarkozysmo, sospira il cameriere del «Fouquet’s» DALLO CHAMPAGNE AL SILENZIO
DALLO CHAMPAGNE AL SILENZIO. ORA QUELLI DEL FOUQUET’S LO VOGLIONO DIMENTICARE - «On en a marre», siamo stufi, sottinteso di questa etichetta di tempio del sarkozysmo, sospira il cameriere del «Fouquet’s» DALLO CHAMPAGNE AL SILENZIO. ORA QUELLI DEL FOUQUET’S LO VOGLIONO DIMENTICARE -
«On en a marre», siamo stufi, sottinteso di questa etichetta di tempio del sarkozysmo, sospira il cameriere del «Fouquet’s». «Insomma, siamo un caffè come tanti». Vero, ma i simboli sono così. Nulla come il «Fouquet’s» ha mai rappresentato meglio quei cinque anni occupati, anzi ingombrati, meglio: monopolizzati dall’ex Presidente e neo-indagato.
Splendori e miserie della Sarkozya si possono raccontare da qui, dal locale degli Champs-Elysées che sta a Nicolas Sarkozy come le cene eleganti di Arcore a Silvio Berlusconi. Quella sera del 6 maggio 2007, terminata la lunga giornata elettorale, appena vinto il ballottaggio contro Ségolène Royal, fu al «Fouquet’s» che gli aspiranti cortigiani organizzarono la festa per Nicolas. Ma la fine dell’inizio fu l’inizio della fine, perché quella pittoresca e un po’ cafona riunione di miliardari, star mediatiche, intellettuali alla moda, politici e politicanti (oggi in maggioranza nei guai con la giustizia), insomma «la banda del Fouquet’s», come fu ribattezzata con il senno e gli avvisi di garanzia di poi, incollò addosso al nascente quinquennato l’etichetta di «presidenza bling-bling» di cui Sarkò non riuscì più a liberarsi.
Fu quella sera che Sarkozy diventò «il presidente dei miliardari», definizione gravissima in Francia, un Paese dove la sola colpa davvero imperdonabile è di essere ricchi. L’unica che si fece pregare per venire fu Cécilia, la moglie dell’evo a.C. (ante Carlà), già dubbiosa sul suo matrimonio. Si sa come andò poi a finire. Su quella festa irrigata da fiumi di champagne sono scorsi fiumi d’inchiostro, sono stati scritti libri e tentate analisi sociologiche. Di certo, per il festeggiato fu la delizia di una sera e la croce di cinque anni. Tanto che, un lustro dopo, a Eliseo quasi perso, Sarkò ammise infine: «Francamente, dovessi rifarlo, non tornerei in quel ristorante».
E oggi? Il «Fouquet’s» è sempre là, perché i presidenti passano ma le istituzioni restano. C’è l’hôtel a cinque stelle, con i portieri in panama bianco e 40 suite su 107 camere. C’è il ristorante gastronomico, adesso ribattezzato, ironia della sorte, «La petite maison de Nicole», con il suo menu goloso ma non esattamente a buon mercato: un filetto, 56 euro. E c’è il bellissimo caffè, con le sue boiserie, le foto in bianco e nero dei clienti celebri, la terrazza sugli Champs-Elysées pieni di sole e di gente e i camerieri nei loro spettacolari gilet rossi (e conti non proprio da banlieue: per dire, il mio «Monaco», deliziosa mistura di gazzosa, birra e succo di lampone, 10 euro).
Clientela numerosa e mista: tanti turisti, belle donne in attesa di qualcosa o più probabilmente di qualcuno, e poi quegli strani personaggi parigini che, come scriveva Simenon, ti abbordano proponendoti un affare miliardario e finiscono chiedendoti un prestito di 20 franchi, che oggi sono poi 20 euro.
Di politica sembra non parlare né interessarsi nessuno. Per fortuna che almeno passa il giovane Lucien, aspirante «intello» talmente tipico da sembrare finto: studi a Sciences-Po, keffiah al collo e «Libé» sotto il braccio. «Il Fouquet’s? Hanno finito di festeggiare, ces gens-là», cioè i misteriosi «quelli» contro cui si addensa da un paio di secoli l’antipatia del francese medio. Però il garbato pensionato al tavolino accanto al mio cade dalle nuvole: «Simbolo del sarkozysmo, dice? Per la verità, io vengo qui tutti i pomeriggi a leggere il giornale... ».
Appunto: nonostante il baccano mediatico di questi giorni, la verità è che Sarkò non occupa i pensieri dei francesi e figuriamoci le loro nostalgie. Peggio ancora con i turisti: un gruppo di brasiliani ricchi in coda al megamagazzino di Vuitton, dall’altra parte dell’avenue Georges V, cade dalle nuvole: «Who is Sarkò?». Siamo già passati da Sarkozy a Sarkò-chi?, insomma. Sic transit...
[alb. mat.]