Tiziana Barillà; Donatella Coccoli, Left 28/6/2014, 28 giugno 2014
GLI INVISIBILI
Chi l’avrebbe mai detto. Da quella infelice battuta di Corradino Mineo potrebbe finalmente arrivare la spinta per una legge sull’autismo. Se entro l’estate il Senato approverà il testo già varato dalla Commissione Igiene e Sanità, forse sarà anche merito del senatore Pd, che ha definito Matteo Renzi «ragazzino autistico da proteggere». Il premier magari non avrà bisogno di protezione. A differenza di circa 600mila famiglie italiane che ogni giorno assistono direttamente un minore o un adulto affetto da autismo. L’uno per mille della popolazione: più di ciechi, sordi, muti e Down messi insieme.
CAUSE SCONOSCIUTE
«Nessuna disabilità ha mai prodotto un livello tale da rendere l’adulto così non autosufficiente». Bastano queste poche parole del professor Franco Nardocci per farsi un’idea di cos’è il Dsa, Disturbo dello spettro autistico. Quella che i più chiamano “autismo” è una disfunzione nello sviluppo dell’organizzazione cerebrale. Una patologia eterogenea – diagnosticata nella prima infanzia – con diversi livelli di gravità. «Oggi ci sentiamo obbligati a parlare di autismi, e non più di autismo», prosegue Nardocci che è past president della Sinpia (Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza) e coordinatore del centro autismo di Rimini. Perché nella nuova e ampia definizione di autismo rientrano bimbi che hanno comportamenti molto diversi, a volte opposti. Il rischio, insomma, è sempre quello di metterli tutti in un unico calderone. Come accadeva un tempo, quando i disabili intellettivi erano liquidati tutti con l’etichetta di “scemo”.
In generale i minori colpiti da questa patologia, entro i primi 3 anni di età, manifestano deficit nelle aree della comunicazione, dell’interazione sociale e dell’immaginazione. Nel peggiore dei casi, si isolano e appaiono inconsapevoli dei sentimenti altrui. Possono essere violenti, a volte iperattivi. La varietà dei casi e dei comportamenti è molto ampia. Quale sia la causa scatenante dell’autismo non è ancora dato saperlo, nonostante i numerosi studi scientifici degli ultimi decenni. Su tutti quelli svolti negli Usa, dove sono state investite montagne di dollari nella ricerca: «Vent’anni fa gli articoli sull’autismo erano rarissimi, oggi probabilmente sono più numerosi degli autistici stessi», provoca il professor Nardocci. «Eppure non sono arrivati grossi contributi alla cura». Perché, paradossalmente, gli Usa «hanno finanziato ricerche che non comunicano tra di loro».
EPIDEMIA?
Alla domanda “quanti sono gli autistici in Italia” non è possibile dare una risposta ufficiale. Perché non c’è un monitoraggio nazionale. «L’assenza di una banca dati è un vero problema», spiega Aldina Venerosi, responsabile Disturbi dello spettro autistico dell’Istituto superiore di sanità (Iss). «Solo due Regioni, l’Emilia Romagna e il Piemonte, ci forniscono dei dati». Ma sono cifre da prendere con le pinze, che contengono anche errori: attingono solo al sistema sanitario pubblico, escludendo le prestazioni nel privato, e sono strettamente legate alla distribuzione dei servizi piuttosto che alla diffusione del fenomeno nella popolazione. Le stime delle due Regioni – ferme al 2011 – indicano una incidenza nella popolazione fino a 18 anni del 2,3 per mille in Emilia Romagna e del 2,9 per mille in Piemonte. Dati che aumentano nella fascia 6-10 anni: 2,8 per mille tra i bambini emiliani e 4,2 tra quelli piemontesi.
Molto diversi sono i dati degli States, dove la questione “autismo” è molto calda. Proprio a marzo il Centre for disease control (Cdc) – l’organismo di controllo del governo Usa che monitora le malattie – ne ha reso noti alcuni piuttosto allarmanti: un bambino americano ogni 68 è affetto da una qualche forma di autismo, con una crescita del 30 per cento in soli 2 anni. Nel Belpaese – sempre secondo il Cdc – è autistico un bambino ogni 150 nati, anche qui numeri in forte aumento. Sono dati che hanno consegnato alla stampa – scientifica e non – un approccio allarmistico al tema. Ma davvero si può parlare di un’epidemia? «Non direi», risponde Nardocci. «Sicuramente le diagnosi di autismo sono molto aumentate, ma è stato ampliato il campo diagnostico, cioè rientrano nella definizione di autismo molti casi che prima non venivano inquadrati in questa patologia».
FANTASMI
I servizi sociosanitari per autistici sono a macchia di leopardo. Una rete di cura, riabilitazione, assistenza e formazione per operatori e genitori si trova solo in una manciata di poli di eccellenza come Fano, Cagliari, Melito Porto Salvo (Rc) e Pordenone. Oasi nel deserto. Nonostante i Lea (livelli essenziali di assistenza, previsti dall’Ssn), il destino di una persona affetta da autismo in Italia dipende dal luogo in cui vive. Ovvio, quindi, che a prendersene cura siano le famiglie, che in questi anni si sono incontrate in un arcipelago di associazioni. La più importante è l’Angsa (Associazione nazionale genitori soggetti autistici) con 40 sedi in tutta la Penisola. Si aggiunga, a tutto ciò, un paradosso: compiuta la maggiore età, gli autistici semplicemente non esistono più. «L’autismo, essendo una malattia infantile, con il compimento dei 18 anni scompare nelle diagnosi dei servizi sanitari e sociali», spiega Nardocci. Accade quindi che dalla Neuropsichiatria infantile si passi ai servizi sociosanitari per adulti. Con quali conseguenze? «Tendenzialmente i malati finiscono nei servizi diurni o residenziali, con il rischio che si creino reparti con Down, non inseriti, disabili mentali, autistici. Tutti in un grande calderone», aggiunge lo psichiatra. L’incubo del manicomio ricompare, popolato dai nuovi disabili intellettivi. La soluzione, sostiene il professor Nardocci, è creare una rete di servizi diffusi nel territorio.
LA LEGGE
Al vuoto assistenziale cerca di porre fine la legge in cantiere al Senato di cui è relatrice Venera Padua (Pd) che tra l’altro è una pediatra. «Quello dell’autismo è un problema complesso che conosco bene. Per il testo abbiamo sentito tante associazioni, genitori, direttori di cliniche, scienziati», dice la senatrice che insieme a Lucio Romano di Scelta civica ha presentato il 16 giugno gli ultimi emendamenti al testo approvato in Commissione Sanità. Ovviamente non sta ai legislatori indicare la cura, è la scienza che deve dare la linea. «Nella letteratura scientifica ci sono diverse posizioni, noi come legislatori avvaloriamo metodi e strumenti basati sulle migliori evidenze scientifiche», precisa Venera Padua. Gli emendamenti in cui si indica la copertura finanziaria – 1 milione di euro per il 2014 e 2 milioni dal 2015 – si trovano adesso in commissione Bilancio. Il voto al Senato è atteso entro luglio. Qual è il punto cardine della legge? In sostanza si tenta di creare le condizioni per arrivare a una diagnosi precoce entro i primi due anni di vita seguita da «interventi tempestivi e intensi» in modo da rendere i bambini più autonomi. Fondamentale è la formazione degli operatori di neuropsichiatria infantile, di abilitazione funzionale e di psichiatria, insieme ai genitori. Centri di riferimento coordineranno la rete sanitaria regionale «con percorsi diagnostici terapeutici e assistenziali» che non fanno distinzioni tra minori, adolescenti e adulti, superando quindi la cesura della maggiore età. Infine, sono previste «strutture semiresidenziali e residenziali accreditate, pubbliche e private».
LA SCUOLA
Gli interventi precoci servono a rendere i bambini sempre più autonomi, anche a scuola. Ma nelle classi occorre sempre un sostegno specifico. Che spesso è svolto da personale non qualificato. «Il governo Renzi deve attuare una normativa sull’insegnamento di sostegno e sulla specializzazione dei docenti», afferma Davide Faraone, deputato e responsabile Welfare e Scuola del Pd. «Occorre proprio una legge. Non basta qualche ora in più nei Tfa (tirocinio formativo attivo) ma servono Tfa specifici, per ogni tipo di handicap. E poi va garantita la continuità: l’insegnante non può cambiare ogni anno, deve rimanere per l’intero ciclo». Non solo: «bisogna assicurare la copertura delle ore, perché molto spesso non sono garantite nemmeno le 18 previste», spiega il deputato Pd.
Padre di una bambina autistica, Faraone ha raccontato qualche giorno fa sul quotidiano online LiveSicilia come all’estero i bambini come la sua siano aiutati anche a evitare una fila al parco dei divertimenti. L’Italia è indietro anche dal punto di vista della burocrazia. Solo pochi giorni fa, il 23 giugno, l’Inps ha cancellato l’assurda “revisione” cui erano sottoposti ogni due anni i minori con diagnosi di autismo. Ora, fino ai 18 anni potranno evitare i controlli ai fini dell’invalidità civile. Da questa svolta, però, sono escluse le diagnosi di tipo lieve o borderline.
UNA BARRIERA CULTURALE
Ma perché gli autistici sono l’ultima ruota del carro della Sanità? Dimenticati anche dalla sinistra, che pure dovrebbe difendere i diritti dei più deboli. «C’è una grande barriera culturale da superare», sottolinea la deputata Pd Ileana Argentin, relatrice alla Camera di una proposta di legge sul “Dopo di noi”, cioè sull’assistenza ai disabili gravi rimasti privi dei familiari. «Per molti politici il disabile è chi sta in carrozzina, non chi ha un ritardo mentale. La politica poi si muove sul consenso. I “carrozzati”, i ciechi, vanno in piazza e hanno più forza rispetto alle famiglie dei ragazzini con difficoltà di autismo o problemi cognitivi», sottolinea Argentin. Che mette in guardia su quello che deve essere il ruolo dello Stato. «Se basiamo tutto sul volontariato perché non ci sono i soldi, vedo un grosso pericolo. Io credo molto al privato sociale, penso che ci debba essere una compartecipazione, ma il privato non può essere identificato con il pubblico. Perché il pubblico dà una garanzia di diritto che niente e nessuno può dare».