Matteo Dalla Vite, SportWeek 28/6/2014, 28 giugno 2014
DODICI PASSI VERSO L’INCUBO
O Rei salta. Fa un caldo bestia. Ma O Rei salta. Ha la cravatta a stelle e strisce: e anche quella ballonzola sopra una camicia bianchissima. Pasadena, finalissima, 17 luglio, Pelé è in tribuna: prima ha gli occhi che sembrano un pallone, mette quasi paura. Poi esulta: Dunga ha appena fatto 3-2, e ora sta al nostro O Rei, Baggino, Codino, maglia larga e fuori dai calzoncini, solo davanti però, dietro no. Attorno c’è il forno. È l’ansia da calci di rigore. Ansia infernale. È il 17 luglio, stadio Rose Bowl, zero a zero nei Novanta e zero a zero dopo. Undici metri: Baresi, non va. Marcio Santos, para Pagliuca che ha un ciuffo che pare un gatto soriano. Albertini, gol. Come Romario. Uno a uno. Evani gol, Branco gol. Massaro no, tiro centrale, para Taffarel. E Dunga fa 3-2 per il Brasile.
Ed è lì, in quel momento, che il Pelé tifoso salta: sente il Mondiale in tasca, e quella cravatta un po’ ruffiana stelle-e-strisciata dà il senso di una maledetta “macumba in progress”. Ma aspetta. Aspetta un attimo: c’è Roberto Baggio. Che ci ha portati fino a qui a suon di bordate, “questo è matto” (rivolto a Sacchi) e gioie a fil di palo. C’è Robertino, eh. E ci sono 29 gradi, il 53% di umidità, vento a 18 km/h: aria che pesa.
Centomila cervelli dentro a quell’ovale pensano: tocca a Bagghio, con la “acca”, dicono così all’estero. Poi c’è chi spera e chi gufa, va così. Ecco, tutti sanno come va ma nessuno sa cosa succede nella sua testa in quel momento. Ma veramente. Bagghio sistema il pallone e fa dodici (12) passi all’indietro. A ogni passo un tormento, una nuvoletta, un fumetto, un pensiero, una scaramanzia, un rivisitare la propria storia, un mondo che gli passa a colori. Forse anche in bianco-e-nero. Dodici passi, la chiave è tutta lì. Cosa pensi quando fai il gambero? I gamberi non sanno calciare i rigori. Baggio sì. E un rigore alle stelle non lo ha mai tirato in vita sua. Magari gliel’hanno parato, oppure ha preso il palo, ma sempre più gioie che no. Anzi: gioie e basta. Ma in quei 12 passi all’indietro c’è qualcosa che non torna: è una catapulta che esaspera i propri tiranti, è una fionda che rischia di sparare troppo alto.
Claudio André Taffarel non guarda quei 12 passi: saltella dentro la porta, gli occhi verso il basso, sembra cercare l’ombra sotto la traversa, un filo orizzontale di speranza. «Non avevo mai calciato un rigore sopra la traversa: penso che quel giorno sia stato Ayrton Senna che, dal cielo, ha spinto il pallone verso l’alto. È stato lui a far vincere il Brasile: Robi lo dice nel 2010, a Rede Globo do Brasil. Sei, sette, otto, nove: i passi indietro vanno... avanti. Poi parte la rincorsa, il pallone è lì e lui s’avvicina. Sei, sette, otto... dieci, undici. Destro. Botta. Nel cielo. Così saltellano tutti gli altri.
Ed esce lo striscione, quello striscione: “Senna.... Aceleramos juntos, o Tetra è nosso!”. Lo tengono i brasiliani in campo: salutano Ayrton, uscito dal mondo l’1 maggio. Pelé salta. Codino fa altri passi. E non gli passerà più.