Stefano Luconi, l’Unità 29/6/2014, 29 giugno 2014
IL GIORNO DELL’AMERICA – IL 2 LUGLIO DEL 1964 LA FIRMA DEL CIVIL RIGHT ACT CONTRO LE DISCRIMINAZIONI RAZZIALI
CINQUANTANNI FA, IL 2 LUGLIO 1964, IL PRESIDENTE STATUNITENSE LYNDON B. JOHNSON PROMULGÒ UNA LEGGE CHE VIETAVA LA SEGREGAZIONE nei luoghi e negli esercizi pubblici nonché la discriminazione nelle assunzioni in ragione della razza. Questo Civil Rights Act giunse dopo due sentenze della Corte Suprema che, nel 1954 e nel 1956, avevano sancito l’incostituzionalità delle misure che imponevano la separazione fisica tra bianchi e persone «di colore» nelle scuole e nei trasporti. Pertanto, il provvedimento del 1964 accelerò il processo di integrazione razziale negli Stati Uniti, garantendo il pieno godimento dei diritti civili agli afroamericani. Non furono, però, solamente questi ultimi a beneficiarne. Per impedire l’approvazione della misura, unendo l’opposizione di razzisti e maschilisti, un deputato emendò il disegno di legge, in modo che proibisse le sperequazioni nell’impiego anche in base al sesso. Ma la coalizione non si aggregò e l’unico risultato fu quello di estendere alle donne la tutela sul mercato del lavoro in origine prevista per i soli afroamericani.
Il Civil Rights Act si propose di sanare una lacerante contraddizione ideologica che si trascinava dalla fine del Settecento. Nel 1776 la Dichiarazione d’Indipendenza aveva teorizzato la legittimità della costituzione degli Stati Uniti in nazione sovrana in virtù di alcune convinzioni, ritenute inconfutabili, tra cui spiccava l’eguaglianza tra tutti gli uomini. Tale principio, però era rimasto a lungo inapplicato nel caso della popolazione di ascendenza africana. Fino alla sua abolizione nel 1865, la schiavitù aveva relegato la stragrande maggioranza degli afroamericani in una posizione di subordinazione giuridica ai bianchi, di cui erano una proprietà. Inoltre, malgrado la conquista della libertà alla fine della guerra civile, negli Stati del Sud gli ex schiavi e i loro discendenti restarono per quasi un secolo ai margini della società. Rigide disposizioni locali segregazioniste, infatti, prescrissero di tenere gli afroamericani divisi dai bianchi in ogni sfera dell’esistenza – dall’istruzione ai trasporti e dagli ospedali ai quartieri residenziali – oltre a consentire disparità nell’accesso all’impiego, che finirono per confinare le donne «di colore» nell’occupazione di domestiche e i loro uomini nette mansioni di braccianti agricoli, mezzadri e lavoratori manuali.
L’approvazione del Civil Rights Act nel 1964 fu l’esito di un’iniziativa combinata della comunità nera e delle istituzioni federali. Negli anni precedenti, in parte sotto la guida del pastore battista Martin Luther King Jr., gli attivisti afroamericani si erano mobilitati in massa attraverso azioni dirette nonviolente, consistenti nel cercare di utilizzare le strutture pubbliche riservate ai bianchi, sfidando apertamente i divieti. Tali forme di disobbedienza civile non si erano solo configurate come una denuncia eclatante di disposizioni ingiuste. Avevano anche provocato situazioni insostenibili quando le autorità del Sud erano ricorse alla forza per imporre una legislazione vigente intrinsecamente immorale. L’immagine di manifestanti pacifici divenuti il bersaglio della brutalità di poliziotti bianchi creò quell’empatia nell’opinione pubblica nazionale che era indispensabile per aggregare al Congresso una maggioranza che eliminasse quanto restava della segregazione razziale dopo gli interventi giudiziari del decennio precedente. Pure il texano Johnson, sebbene fosse un politico del Sud, fornì un contributo significativo al varo della legge. Da un lato, il presidente fu spinto dalla preoccupazione che, nel quadro della guerra fredda, la discriminazione degli afroamericani screditasse gli Stati Uniti di fronte agli altri paesi, impedisse a Washington di ergersi a guida del cosiddetto «mondo libero» e vanificasse gli sforzi per presentare il modello della democrazia capitalistica americana quale sistema migliore del totalitarismo sovietico di stampo comunista. Questo timore si concretizzò principalmente per le nazioni africane, che stavano conseguendo l’indipendenza con l’intensificarsi della decolonizzazione, per le quali il permanere della segregazione rappresentava un deterrente a identificarsi con gli Stati Uniti. Dall’altro lato, Johnson fu motivato dal rischio di non apparire abbastanza progressista per aspirare a raccogliere l’eredità del suo predecessore, John F. Kennedy, e conseguire il rinnovo del mandato nelle elezioni del 1964.
Tuttavia il Civil Rights Act non pose fine alla questione razziale. L’anno successivo fu necessaria un’ulteriore misura, il Voting Rights Act, per assicurare agli afroamericani la pienezza del diritto di voto. Nel 1967 la Corte Suprema dovette intervenire nuovamente per cancellare la normativa di alcuni Stati che seguitavano a proibire i matrimoni misti. Soprattutto un semplice provvedimento legislativo non era sufficiente per sradicare atteggiamenti discriminatori sedimentati in larghi settori della popolazione bianca. Dell’impossibilità di eliminare il razzismo per legge dall’oggi al domani erano ben consapevoli quei circa 8000 residenti di Harlem, il ghetto nero di New York, che il 18 luglio – ad appena due settimane dalla promulgazione del Civil Rights Act – innescarono una rivolta, protrattasi per sei giorni, in risposta all’uccisione di un quindicenne afroamericano da parte di un poliziotto bianco fuori servizio. Ai loro occhi, cosi come a quelli di coloro che di lì a poco avrebbero rivendicato il «potere nero» in alternativa all’integrazione, la firma di Johnson su un provvedimento del Congresso non bastava a realizzare l’effettiva eguaglianza tra tutti i cittadini statunitensi.
Nel 1964, pochi avrebbero ipotizzato che 44 anni dopo un afroamericano sarebbe divenuto presidente degli Stati Uniti. Tuttavia, nonostante la duplice elezione di Barack Obama, numerosi indicatori socioeconomici attestano che esiste tuttora un significativo divario tra afroamericani e bianchi. In particolare, secondo un recente rapporto della National Urban League, il tasso di disoccupazione dei primi (13,1%) risulta il doppio di quello dei secondi (6,5%), il reddito medio di una famiglia nera si attesta al 60% di quello di una famiglia bianca e il 28,1% degli afroamericani vive al di sotto della soglia di povertà contro l’11% dei bianchi. Quindi, in mezzo secolo il Civil Rights Act ha contribuito a ridimensionare la condizione di privilegio che fino al 1964 era derivata dal nascere individui di «razza caucasica», ma non è ancora riuscito a colmare la distanza che continua a separare l’America nera dall’America bianca. Eppure uno degli obiettivi del movimento dei diritti civili era proprio cancellare la diseguaglianza economica. Non a caso, la celebre marcia organizzata da King il 28 agosto 1963 per sollecitare l’approvazione del Civil Rights Act rivendicò non solo la fine della segregazione, ma anche maggiori opportunità di lavoro per gli afroamericani.