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 2014  luglio 02 Mercoledì calendario

FINCANTIERI, L’ENNESIMO COLPO DEI SOLITI NOTI


Dicono che l’Italia stia cambiando verso, ma se si deve giudicare dal collocamento in Borsa delle azioni Fincantieri c’è poco da stare allegri. Anzi, l’impressione è che il premier Matteo Renzi stia mettendo la faccia, come ama dire, sull’ennesimo sconcio ai danni dei risparmiatori. Per capire la gravità della vicenda proviamo a ricostruirla nei dettagli.
Il 13 giugno scorso la Fincantieri ha comunicato di aver ottenuto dalla Consob l’approvazione del prospetto per la quotazione in Borsa. L’operazione è stata così descritta: collocamento di 704 milioni di azioni, a un prezzo compreso tra 0,78 e 1 euro; di questi titoli 104 milioni sono venduti dall’azionista finora unico di Fincantieri, la Cassa Depositi e Prestiti, mentre i restanti 600 milioni sono a titolo di aumento di capitale, cioè risorse che gli investitori versano nelle casse della società per rafforzarne il patrimonio e la capacità di investimento. In particolare, dei 704 milioni di titoli, 141 milioni sono destinati al pubblico dei risparmiatori (in gergo retail, che in inglese indica la vendita al dettaglio), mentre 563 milioni saranno offerti agli investitori istituzionali, cioè banche, fondi d’investimento e simili.
I CLIENTI DEGLI ISTITUTI USATI COME CARNE DA CANNONE
Il comunicato della Fincantieri non dice che dentro il prospetto informativo - centinaia di pagine che il risparmiatore in genere non legge - è prevista la facoltà di claw-back. Che cos’è? Lo scoprirete più avanti. Il 16 giugno il pool delle banche collocatrici comincia a battere i mercati finanziari di mezzo mondo per piazzare le azioni. In Italia collocano le due maggiori banche nazionali, Intesa Sanpaolo e Unicredit. All’estero grossi nomi della finanza: Credit Suisse, Jp Morgan (che si avvale dell’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli) e Morgan Stanley, che schiera l’ex ministro dell’Economia Domenico Siniscalco. Una bella rimpatriata.
Il 27 giugno si chiude il collocamento e si scopre che, ohibò, i mitici mercati finanziari internazionali hanno mandato al diavolo i provetti venditori capitanati dai Grilli, Siniscalco e soci. Dei 563 milioni di azioni proposte ne hanno comprato appena una dozzina di milioni: in pratica le brillanti banche collocatrici hanno venduto la cinquantesima parte di ciò che il presidente della Cassa Depositi e Prestiti Franco Bassanini aveva affidato alle loro abili mani. Gli investitori istituzionali italiani per parte loro comprano una trentina di milioni di azioni, un ventesimo della quota offerta. Tra essi i grandi fondi di investimento che pure, in alcuni casi, fanno capo alle banche collocatrici.
Che cosa fa a questo punto il numero uno di Fincantieri Giuseppe Bono? Non si perde d’animo e corre ai ripari. Cancella l’offerta di azioni della Cassa Depositi e Prestiti in vendita, e riduce anche l’aumento di capitale, cosicché il collocamento si riduce da 704 a 450 milioni di azioni. Poi fissa il prezzo al minimo della forchetta, 0,78 euro. Ma il colpo del maestro si chiama claw-back. È la clausola che consente, in qualsiasi momento, di spostare i pesi del collocamento tra istituzionali e retail. I fondi internazionali hanno buone ragioni per tenersi alla larga dalle azioni Fincantieri? Benissimo, senza indagare oltre le hanno mollate ai risparmiatori italiani. Così agli istituzionali vanno 49 milioni di azioni (gliene avevano proposte 563 milioni), e ai poveri piccoli investitori privati che ancora si fidano della loro banca arrivano 401 milioni di azioni (313 milioni di euro sull’unghia) anziché i 141 milioni proposti.
Ci si potrebbe chiedere: ma se i risparmiatori i 400 milioni di azioni le hanno chieste, che male c’è? C’è che nessuno li ha avvertiti che i fondi internazionali su quelle azioni ci stavano sputando sopra. Chiunque frequenti le filiali delle banche conosce il ritornello che i funzionari sono addestrati a ripetere in cambio di un premio per ogni azione piazzata : “Guardi, è un affarone, le Fincantieri andranno a ruba, la domanda sarà il triplo dell’offerta, quindi lei chieda tre lotti minimi da quattromila azioni, così quando si andrà al riparto avrà il suo pacchetto pari pari”. Puntualmente la domanda è stata il triplo dell’offerta (“un grande successo”), e adesso i nostri apprendisti stregoni si chiedono storditi: “Ma come mai i risparmiatori hanno capito la convenienza dell’affare e i soloni della finanza internazionale no?”.
“I FONDI D’INVESTIMENTO NON CAPISCONO, I PICCOLI RISPARMIATORI INVECE SÌ”
L’austero Sole 24 Ore, ha dato fiato a una considerazione indecente, suggerita dai trombettieri della grande operazione: “Chi ha seguito il dossier non addebita l’esito non brillante alla mancata distribuzione di dividendi per tre anni, quanto piuttosto alla difficoltà di far digerire l’operazione in breve tempo a investitori poco avvezzi al complesso business di Fincantieri”. Avete capito bene: i “poco avvezzi” sono i grandi fondi internazionali. I risparmiatori italiani invece hanno capito al volo il “complesso business”. Totò direbbe: “Ma mi faccia il piacere...”. Se Renzi consente che sotto il suo governo vengano fatti pasticci del genere poi magari non si lamenti se sente in giro un clima ostile alle imprese.
Domani il titolo Fincantieri fa il suo esordio in Borsa. Visto che nessuno ha voluto le azioni al collocamento c’è da vedere chi le vorrà comprare al listino. Allacciate le cinture.
Twitter@giorgiomeletti

Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 2/7/2014