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 2014  luglio 02 Mercoledì calendario

IL SOGNO DI ERDOGAN, ASPIRANTE «CALIFFO»


Di Recep Tayyip Erdogan, 60 anni, il primo ministro turco che si è ufficialmente candidato ieri alle presidenziali di agosto - le prime con il voto popolare diretto - pensiamo ormai di sapere tutto o quasi. Ma forse non il suo sogno segreto, magari non così ben custodito come altri: quello di guidare la Turchia oltre il prossimo mandato presidenziale di cinque anni, per il quale è largamente favorito dai sondaggi, e arrivare in sella fino al 2023 per celebrare da leader del Paese il centenario della repubblica fondata nel 1923 da Kemal Ataturk, che abolì prima il sultanato e poi anche il califfato, risorto in maniera probabilmente effimera e utopica con l’avanzata di jihadisti in Siria e Iraq.
Da tempo Erdogan ha smesso i panni del musulmano moderato e democratico per svelare un volto decisamente più spavaldo, anche lui da aspirante califfo dell’ecumene islamica. Come si vede la concorrenza, dall’Anatolia alla Terra tra i Due fiumi, si sta facendo numerosa e i nuovi confini del Medio Oriente, travolto dalla disgregazione dei confini di Siria e Iraq, fanno immaginare scenari un tempo impensabili. Se non un califfo, Erdogan vuole comunque essere un padrino delle forze del cambiamento alle porte di casa sua, dal Kurdistan, a Damasco, a Baghdad.
È così che il premier si è presentato pochi giorni fa in un incontro con diplomatici europei: difendendo con grinta e determinazione i suoi insuccessi anche in politica estera, dall’Egitto, dove gli amati Fratelli Musulmani sono stati travolti dal generale Al Sisi, alla Siria, dove Bashar Assad è ancora al potere, all’Iraq, alla Libia. Senza lasciare spazio alla minima apertura per politiche più costruttive e utili alla stabilità di una regione che ha contribuito a infiammare con iniziative avventate, adottate in piena sintonia con il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, tra i possibili candidati a succedergli come primo ministro.
La presidenza è un traguardo eccezionale per un capo che sembrava avere imboccato un’inarrestabile parabola discendente: le contestazioni di Gezi Park seguite da una sanguinosa repressione, le inchieste giudiziarie di corruzione sull’Akp, il partito islamico al governo, che lo hanno coinvolto personalmente, lo scontro con il leader religioso Fethullah Gulen, le avvisaglie di una crisi finanziaria, un prestigio internazionale intaccato dall’andamento negativo delle rivolte arabe. Eppure Erdogan ha sovvertito tutti i pronostici, vincendo largamente le municipali di marzo e presentandosi da favorito per salire al palazzo di Cankaya forte di un decennio straordinario in cui la Turchia è entrata tra le prime venti economie del mondo. A Erdogan i turchi, o almeno la maggioranza che lo vota, non chiedono di essere un democratico all’europea ma un califfo che porta benessere e un tocco di modernità, alla musulmana si intende.

Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 2/7/2014