Morya Longo, Il Sole 24 Ore 2/7/2014, 2 luglio 2014
LA CINA SPINGE LE BORSE PIAZZA AFFARI +1,32%
Una parola ieri è tornata a rimbombare sui mercati mondiali: «crescita». L’eco ieri è arrivato forte dalla Cina, sufficientemente sonoro dagli Stati Uniti e ancor più potente dalla Gran Bretagna. Gli investitori di Borsa l’hanno sentito bene, tanto che Wall Street ha toccato nuovi record storici.
La seduta di ieri sui mercati mostra chiaramente che gli investitori hanno sentito echeggiare la parola «crescita» da molte parti del mondo. La Borsa di New York ha infatti toccato i nuovi massimi storici. Quelle europee, dopo sette sedute di fila chiuse con il segno meno, hanno seguito a ruota, con un rialzo medio dello 0,94%: Milano ha recuperato l’1,32%, Madrid lo 0,77%, Parigi lo 0,87%, Francoforte lo 0,71%. Il motivo di questo ritrovato brio va proprio cercato in quell’eco, nato con una serie di dati economici che ieri hanno cambiato – almeno per un giorno – la percezione comune sull’andamento dell’economia mondiale.
SORPRESE DALL’ECONOMIA
I mercati finanziari, dopo un rally durato anni, negli ultimi tempi sembravano infatti un po’ frastornati. Gli ultimi dati economici (a partire dal -2,9% del Pil statunitense registrato nel primo trimestre e diffuso il 25 giugno) avevano creato una certa apprensione: non tanto sull’economia europea (nessuno si aspetta grandi riprese da questa parte del mondo), quanto su quella cinese e quella Usa. Entrambe le locomotive del mondo ultimamente avevano dato segnali di rallentamento. Di fiato corto. La Cina – si chiedono tutti da tempo – rallenta? Gli Usa tornano a cadere?
Ebbene: i dati congiunturali di ieri (sebbene un singolo indicatore non possa fare un trend) sembrano dare una risposta negativa a queste domande. Il primo è arrivato dalla Cina. L’indice Pmi (che misura l’umore dei direttori d’acquisto delle aziende manifatturiere) della Repubblica Popolare è infatti salito da 50,8 di maggio a 51,0 di giugno. E l’indice anticipatore Pmi elaborato dalla banca Hsbc sul settore manifatturiero è tornato sopra quota 50 per la prima volta da gennaio. Tutto questo ha fatto tirare un sospiro di sollievo a chi teme il rallentamento cinese: secondo i calcoli di Nomura, questo dato suggerisce infatti una crescita annualizzata del Pil nell’ordine del 7,4% nel secondo trimestre, del 7,5% nel terzo e del 7,6% nel quarto.
L’altro indicatore economico che ieri, in ordine di fuso orario, ha letteralmente sbalordito i mercati finanziari è quello inglese. Anche in Gran Bretagna è stato diffuso l’indice Pmi del settore manifatturiero. Ebbene: a giugno è uscito a 57,5. Ben sopra le attese (56,8) e ben sopra la media storica (51,4). E, soprattutto, su livelli che non si vedevano da tre anni. Infine, nel pomeriggio, sono arrivati indicatori simili dagli Usa. Che, seppur molto meno tonici di quelli cinesi e inglesi, hanno confermato il trend di crescita economica dopo il -2,9% del primo trimestre. «I dati americani – osserva Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo – confermano in prospettiva una crescita annualizzata nel secondo trimestre nell’ordine del 3-3,5%». Gli investitori apprezzano. Tanto da far passare inosservati gli indicatori ben più deboli dell’Eurozona.
L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA
Il problema è che questa crescita economica mondiale, che galvanizza i mercati, presenta un lato oscuro. In Gran Bretagna si sta gonfiando una bolla immobiliare, che probabilmente costringerà la Bank of England ad alzare i tassi prima del previsto. «I mercati scontano con una probabilità del 50% una stretta monetaria già a novembre e con una probabilità del 100% una a febbraio», osserva Silvio Peruzzo, economista di Nomura. La stretta, insomma, è attesa. Per questo, dopo l’indice Pmi di ieri, la sterlina si è rafforzata.
Maggiore incertezza riguarda il comportamento della Fed Usa: dipenderà dai prossimi dati economici. A partire da quelli sul mercato del lavoro in arrivo domani. Le banche centrali sono di fronte a un bivio: se continuano a pompare liquidità rischiano di gonfiare ulteriormente le bolle speculative, mentre se staccano troppo velocemente «la spina» rischiano di far crollare tutto come un castello di sabbia. Ecco perché, insieme alla parola «crescita», i mercati dovrebbero preoccuparsi di un’altra espressione: «exit strategy». È questo il vero punto interrogativo del futuro.
m.longo@ilsole24ore.com
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 2/7/2014