Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 2/7/2014, 2 luglio 2014
B. VUOL LIBERARSI DI FORZA ITALIA
[Intervista a Vincenzo Gallo] –
Aveva previsto tutto Vincenzo Gallo, palermitano, classe 1946. Altro che retroscenisti, altro che acuti osservatori delle dinamiche politiche, altro che politologi raffinati, lui, la defenestrazione di Enrico Letta da parte di Matteo Renzi, l’aveva disegnata subito e prima del congresso Pd. «Renzi ha vinto le primarie, ora le secondarie con Letta», aveva vergato su una delle sue pestifere tavole l’11 novembre dell’anno scorso, quando un sondaggio dava per sicuro vincitore il sindaco fiorentino.
Lui, per quelli a cui il nome non dicesse niente, è Vincino, vignettista storico, che nella prima repubblica bombardava la Dc dalle colonne di Lotta Continua. Fu fondatore del terribile Il Male, di cui si ricordano beffe pazzesche alla fine degli anni ’70, come l’arresto di Ugo Tognazzi, capo delle Brigate Rosse, annunciato da una finta edizione di Paese Sera, con l’attore che si prestò alla foto fra due carabinieri, uno dei quali era il leader degli autonomi Franco Piperno. Vincino pubblica, in questi giorni, per Cairo editore «La cavalcata di Renzi, come in sei mesi conquistò tutto», esilarante racconto illustrato della presa di potere del Rottamatore.
Domanda. Vincino, i cronisti politici, fra cui il sottoscritto, eravamo a scrutare l’orizzonte renziano e lei aveva visto già lungo...
Risposta. C’erano i segni (ride beffardo) e poi in politica c’è la forza di gravità.
D. Che è la battuta della sua vignetta il giorno dopo il congresso Pd. Si vedeva un’enorme Renzi sulle spalle di un minuscolo Letta. L’ex-premier viene massacrato dalla sua matita: lo raffigura come un ometto, coi capelli all’indietro, un vecchio. Non le piaceva..
R. Eh, dava questa impressione: un piccolo impiegato. Anche se di buona famiglia.
D. Ci spieghi come fa, uno che disegna satira, a vederci più lontano di tutti. I tanti anni di mestiere?
R. Può essere, perché lavoro da tanto tempo. Però ho un approccio tutto mio alla politica...
D. Vale a dire?
R. Vado spesso in Parlamento, vado ai congressi, vado a vederli da vicino, questi politici, e cerco di capirli. Spesso funziona.
D. Non basterebbe leggere le cronache parlamentari, i retroscena, così ricchi di colore?
R. So che non mi devo fidare dei giornalisti, non posso basarmi su racconti di seconda, a volte terza mano. Devo andarci. Chiamo i giornali con cui collaboro (Foglio, Corsera e Vanity Fair, ndr) e mi faccio fare l’accredito per due o tre giorni.
D. E dove va, in genere?
R. Il Transatlantico è la mia meta preferita, per l’atmosfera ma anche per l’architettura.
D. E cosa vede?
R. Questi piccoli personaggi, ché siamo a un basso livello anche quando il livello sarebbe politicamente alto, stanno in Transatlantico come a una grande festa da ballo: si formano le coppie, c’è la tizia che nessuno invita a ballare, c’è quello che danza con tutti. Insomma quel luogo ne racconta di miserie umane.
D. E non solo, spero...
R. Certo, là dentro si formano i soldi, nel senso che si formano le leggi che li distribuiscono, o li fanno fare. Mi piace, Montecitorio. Nel 1982 ci feci un libro, dopo averci passato, anni prima, 3-4 mesi per Lotta Continua.
D. Come funzionava?
R. Stavo lì tutta la giornata, disegnavo, poi, verso le sei, correvo al giornale. Poi là, sul bancone, a comporre la pagina.
D. La vignetta di giornata, presa in diretta dai lavori parlamentari, un portento...
R. Già, finché non mi buttarono fuori.
D. Come fuori?
R. Sì, espulso. Perché cominciavo a disegnare i lobbisti e i cronisti parlamentari. E non la presero bene, fino a ritirarmi il permesso.
D. Censura!
R. Ma li fregai: il giorno dopo ero nella tribuna degli spettatori. E disegnavo forsennatamente. Finché Nilde Jotti mi vide e spedì i commessi a cacciarmi anche da là.
D. E lei? S’arrese?
R. Manco per sogno. Mi misi a cavalcioni della balaustra, rifiutandomi di scendere. In aula comunisti e radicali arrivarono quasi alle mani. «C’è un giornalista del Male in tribuna», si gridava. La seduta venne interrotta.
D. Ora magari non la riconoscono.
R. Infatti e ne sono felicissimo: li guardo nel pieno dell’anonimato, a loro insaputa, tranne pochissimi.
D. Da questa legislatura ci sono i grillini. Li ha osservati?
R. Certo. Molto giovani, che vestono da giovani, hanno fatto a pugni con l’obbligo della cravatta. Come capita spesso a me, che ne ho tre o quattro di quelle nere, orribili, che danno i commessi a chi è senza.
D. Ma che fa, se le porta via?
R. Ma no, è che al Senato, per esempio, si entra da una parte e si esce dall’altra. Così mi sono ritrovato la cravatta senatoriale da restituire. Palazzo Madama è un dedalo. Anche i grillini ci si perdevano all’inizio. Anzi mi assilla un dubbio.
D. Quale?
R. Nel nuovo Senato che nascerà dalla riforma, l’obbligo della cravatta resterà ancora?
D. Bella domanda. Ma torniamo ai grillini, ma come le paiono questi del M5s?
R. Sono inesperti, inaffidabili, gente che è lì e ha avuto 100 voti di preferenza o che, con 178, fa il vicepresidente della camera.
D. Vabbé torniamo a Renzi. Lei lo disegna con un ghigno furbesco, da ultra spregiudicato. Lo vede così davvero?
R. Renzi è bravissimo a cogliere l’occasione, un lampo. La macchina lo va a prendere in centro, a Firenze, e lui la ferma, dicendo: «Ho pedonalizzato io questa piazza, si va a piedi». Ha una capacità di reazione molto superiore agli altri. Anche se, di tutte le tremila cose che ha apparecchiato, magari ne arriveranno in fondo pochissime.
D. Lei che ha visto la prima repubblica, chi le ricorda?
R. Difficile dirlo, forse un Amintore Fanfani prima maniera, ma non del tutto. E comunque, per fare le cose che lui ha fatto in questi primi mesi di governo, quelli della prima repubblica ci avrebbero impiegato 6-7 anni. Secondo me, però, del premier non abbiamo visto ancora tutto.
D. La prego, non si metta anche lei a fare il discorso del Ventennio, del pericolo autoritario....
R. No, secondo me lui ha in serbo qualcosa di grosso: secondo me vuole essere il primo presidente eletto d’Europa. Eletto dal popolo, intendo. Un giorno - paff! - ci arriverà.
D. Ma lei l’ha conosciuto?
R. Certo, a Firenze, quando era ancora presidente di Provincia. Venne a presentare un mio libro, «Poteri morti», grazie a un amico comune.
D. Che cosa la colpì?
R. Che si divertiva tantissimo alle vignette dure su Massimo D’Alema e Walter Veltroni. E aggiungeva battute pure lui.
D. Insomma, lei tenne a battesimo la rottamazione, Vincino. Senta, ma perché questo libro? Perché iniziava il semestre?
R. No, quasi per caso: sfogliando le tavole, a maggio, mi aveva colpito quanto poco Renzi avesse impiegato, a fare quello che ha fatto. E mi è venuta l’idea. Ho incontrato quelli di Cairo editore a cui è piaciuta subito e, dopo mezz’ora, eravamo già d’accordo. Mi sono trovato benissimo.
D. Dicono che Urbano Cairo sia un signore di destra. E lei viene da Lotta continua! D’altronde le sue vignette migliori sono sul Foglio di Giuliano Ferrara. Come s’è trovato con lui?
R. Un grande direttore. Mi ha sempre dato la più totale libertà. È intervenuto, sì e no, due-tre volte, ma perché magari a qualche suo caporedattore la vignetta non piaceva. E sempre dando ragione a me.
D. Bella cosa la tolleranza. Uno che, invece, si fa scappare spesso la pazienza è Beppe Grillo. Nel libro appare raramente. Mica ne avrà paura?
R. Non scherziamo. Appare poco qui.
D. E che cosa ne pensa?
R. Che dimostra come il vuoto, in politica, non esista: c’è sempre qualcosa, come un gas, che satura lo spazio libero. Peraltro lui, Grillo, fa diversi errori.
D. Quali?
R. Mandare in Parlamento 200 inesperti totali e pensare di guidarli da fuori! Nessun generale può pensare di vincere una battaglia così. Senza dimenticare che è un inesperto anche lui, un arronzone: si mette con Farage, che col suo movimento non c’entra niente. Grillo le sbaglia quasi tutte.
D. È quasi un suo collega, d’altra parte. Fa satira anche lui.
R. E infatti, è un errore facilissimo per chi fa questo mestiere: cedere al moralismo, quando si dovrebbe starne lontani.
D. Le capita?
R. Guardi, io mi affeziono persino a quelli che maltratto nelle vignette. Anche per Letta, che lei citava, è stato così: mi scappa il disegno, diciamo, ma poi gli voglio un po’ bene.
D. Succede anche con Silvio Berlusconi? Lo si vede pochissimo in questo libro. Non è più personaggio da satira?
R. Non lo è da tempo, ormai. Certo, sono affezionato anche a lui. Prossimamente lo ridisegnerò, perché penso che senta Forza Italia come un peso insopportabile, che lo danneggia, e di cui sente di doversi liberare.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 2/7/2014