Gianna Milano, TuttoScienze La Stampa 2/7/2014, 2 luglio 2014
DISTRATTO, DIABETICO, OBESO. CHI DORME POCO SI FA MALE E NON LO SA
È raro lamentarsi di dormire troppo. Semmai il contrario. Ma, rubando sempre più ore alla notte, siamo figli di una società insonne. Eppure il sonno, in termini evolutivi, è indispensabile per la sopravvivenza. Tanto che le conseguenze legate alla sua mancanza sono molte e gravi. Lo confermano le ultime ricerche: non solo si compromettono le capacità cognitive e la memoria, ma ci si espone a problemi metabolici, come il diabete di tipo 2, e si rischia anche di diventare obesi.
Meno ore si dorme, più si ingrassa. Uno studio americano su mille persone ha dimostrato che, dormendo 5 ore per notte invece di 8, aumenta del 3,6% l’indice di massa corporea. «Purtroppo, nonostante la mole di conoscenze, pochi si rendono conto di quanto importante sia rispettare il rapporto veglia-sonno. Non riposare abbastanza è un fattore di rischio, così come mangiare male e non fare esercizio», spiega Liborio Parrino del dipartimento di Neuroscienze all’Università di Parma e presidente dell’Aims, l’Associazione di medicina del sonno.
Già nel ’99, Eve Van Cauter, dell’Università di Chicago, con uno studio che rappresenta una pietra miliare, aveva dimostrato come la riduzione delle ore di sonno in giovani adulti sani inducesse una resistenza all’insulina, processo che favorisce lo sviluppo del diabete di tipo 2. «Oggi sappiamo senz’altro di più sulla biologia alla base dei problemi metabolici legati al sonno», dice Giovanni Cizza, endocrinologo al National Institute of Diabetes and Kidney Diseases di Bethesda, negli Usa: è lui ad aver realizzato uno studio per verificare se, aumentando le ore di sonno, si potessero aiutare gli obesi a perdere chili. «In chi non dorme a sufficienza - aggiunge - si altera l’equilibrio tra due ormoni: la leptina, prodotta dal tessuto adiposo e che dà il segnale di sazietà, e la grelina, prodotta dallo stomaco e che stimola la fame. Il poco sonno fa calare la prima e aumentare la seconda ed ecco perché cresce il senso di fame: la collusione dei due messaggi induce a mangiare di più». Se in situazioni di pericolo, come nel caso degli antichi cacciatori-raccoglitori, il meccanismo aveva una funzione, oggi non è più così.
Altri studi, nel frattempo, hanno chiarito una serie di meccanismi biochimici. Indizi affascinanti sono emersi da una ricerca di Esra Tasali dell’Università di Chicago: dormire meno provoca nelle cellule adipose un aumento della resistenza all’insulina. Dopo quattro notti con sole quattro ore e mezzo di sonno le cellule di grasso di un campione di giovani volontari avevano perso il 30% di sensibilità all’insulina: l’equivalente di un invecchiamento metabolico tra 10 e 20 anni. La durata del sonno, infatti, conta, dal punto di vista metabolico, quanto la qualità. Le fasi a onde lente, che corrispondono al riposo profondo, coincidono con cambiamenti ormonali che influiscono sulla regolazione del glucosio. Non a caso, quando si toccano anche 7-8 ore, ma per diverse notti consecutive non si riesce a raggiungere il sonno profondo, si manifestano gli stessi problemi di risposta all’insulina, né più né meno come chi dorme poco.
A complicare l’interazione sonno-metabolismo c’è poi l’orologio biologico, che regola i ritmi circadiani dell’organismo. «L’high-tech ci ha distolto dai ritmi naturali, stravolgendo il meccanismo che, come un metronomo, scandisce sonno e veglia. Una sorta di direttore d’orchestra che coordina la sinfonia di attività chimiche, ormonali e nervose delle cellule», osserva William C. Dement, fondatore del Centro di ricerca sul sonno alla Stanford University. «Gli umani sembrano essere l’unica specie che non presta attenzione all’orologio biologico: oggi il tempo di sonno si è ridotto di un’ora e mezzo per notte rispetto al XIX secolo».
Eppure, come dimostra uno studio su «PloS», estendere le ore di sonno migliora le funzioni cognitive. «Sono stati coinvolti 125 obesi, che dormivano in media meno di 6 ore e mezzo. A una parte di loro è stato chiesto di dormire di più, mentre al gruppo di controllo di non modificare le proprie abitudini - sottolinea Cizza, uno degli autori della ricerca -. Dopo 18 mesi abbiamo misurato le funzioni cognitive con una batteria di test neuro-psicologici e abbiamo scoperto che in chi dormiva di più le funzioni cognitive erano migliorate del 7% e l’attenzione del 10%. A essere potenziate, inoltre, erano le funzioni “esecutive” - vale a dire la capacità di programmare e prendere decisioni - che nel cervello sono delegate alla corteccia pre-frontale superiore». Un miglioramento attribuito non solo alla rapidità con cui ci si addormenta, ma, dal punto di vista biologico, a un gruppo di ormoni: due dello stress - il cortisolo e la dopamina - e un terzo, già evidenziato da altre analisi, la grelina: non solo stimola l’appetito, ma è un elemento-chiave per modulare una condizione così preziosa (e ignorata) come il sonno.