Roberto De Ponti, Corriere della Sera 2/7/2014, 2 luglio 2014
«VISTO CHE NON VINCO SOLO A SIENA? RESTO PER PORTARE MILANO LONTANO»
MILANO — Luca Banchi, primo allenatore nella storia dell’Olimpia a conquistare lo scudetto al primo tentativo, si sta gustando la vittoria?
«Il giusto. Non ho molto tempo per pensarci, sto lavorando con la società e lo staff per pianificare la prossima stagione».
Quindi resterà allenatore dell’EA7 anche il prossimo campionato.
«Non dovrei?».
Alcune sue parole dopo la finale vinta avevano fatto capire che la cosa non fosse poi così scontata...
«Risposte a caldo, dopo una grande impresa e una grande fatica, a domande formulate nell’immediato. Ho fatto un semplice ragionamento: non basta un contratto per assicurare la permanenza in un club, vale per i giocatori e vale per l’allenatore. Non dev’essere un contratto a determinare la possibilità di restare, ma la reale volontà di entrambe le parti».
Quindi ha verificato la sua volontà e quella della società.
«Sì, e ci siamo trovati d’accordo nel continuare a costruire insieme qualcosa di importante».
Si è chiesto che sarebbe successo se il tiro di Janning in gara 6 anziché rimbalzare sul ferro fosse entrato? Se a vincere lo scudetto non fosse stata Milano ma Siena?
«Non me lo sono chiesto. Sono il primo a sapere che spesso la sconfitta determina la necessità, anche se non la volontà, di cambiare. So che la sconfitta avrebbe fatto dimenticare il percorso che ci aveva portato fin lì, avrebbe modificato umore e stato d’animo. Aver vinto ci dà la serenità di poter dare continuità al progetto».
Com’è stata la vittoria di Banchi?
«Dal punto di vista personale ancora più difficile. Aver giocato contro Siena ha reso per me la situazione più complessa di quanto già non lo fosse. Avevo di fronte la squadra con cui avevo vinto 7 scudetti in 7 anni. Vincere ha significato abbattere il luogo comune che io non avrei potuto sopravvivere fuori dal sistema Siena. Penso di aver funzionato, io, a Milano...».
Sui forum in Rete l’hanno attaccata per le sua provenienza senese.
«Non so nemmeno come ci si entra, in quei forum».
Hanno detto di lei, di Hackett, Moss e Kangur, che eravate la quinta colonna di Siena in casa Olimpia.
«Rispondo così: mascherarsi dietro uno pseudonimo per dire quello che si crede non fa parte del mio modo di vedere le cose. Io dico le cose che penso e non mi nascondo quando le dico».
La trasfusione di sangue senese nell’EA7 questa volta ha funzionato.
«Mi auguro che la società abbia scelto il professionista, non la provenienza. Poi è chiaro che 7 anni di Siena mi hanno formato, sarebbe sbagliato dire il contrario. E io ho attinto a risorse che hanno il mio stesso modo di affrontare le cose. Ad alcuni non è parso vero rinfacciarci, a me, a Moss, a Kangur, ad Hackett, le origini senesi quando abbiamo avuto incidenti di percorso durante la stagione. La considero una bestialità smentita dal campo».
Tutto bene con Gentile?
«È il capitano della squadra, perché non dovrebbe andare bene?».
Si è detto durante la stagione che i vostri rapporti non fossero esattamente idilliaci.
«Non so in che misura si possa sostenere questo, ma per me e per Ale parlano i numeri. Gentile ha disputato un’Eurolega da protagonista, con un minutaggio ben superiore rispetto a quello di un anno fa. Lo stesso in campionato, ben sapendo di giocare in una squadra con giocatori di tale spessore che potevano essere un “freno” alla sua esuberanza. Ha avuto una crescita graduale, costante. Poi qualche volta la sua forte personalità può essere entrata in conflitto con me e con i compagni, come è normale che sia in una squadra, ma la nostra stagione rispedisce al mittente ogni accusa».
Dopo aver vinto lo scudetto, il tifoso di Milano si aspetta ora la conquista dell’Europa.
«Io credo che il primo obiettivo sia ripetersi in Italia, cosa non scontata. Ci sono almeno un paio di insidie. La prima: sentirsi sazi dopo i primi successi. La seconda: la concorrenza dei grandi club che ora inseguono i nostri giocatori. In Europa vale un’altra considerazione: l’insidia è pensare che dopo una stagione come la nostra basti qualche aggiustamento per puntare al titolo. Invece una vittoria in Eurolega non si pianifica, è una manifestazione troppo lunga e con troppi step, bisogna solo lavorare per essere competitivi con continuità e farsi trovare pronti se e quando passa l’occasione giusta».
Quindi Milano riparte da capo?
«No, abbiamo un vantaggio. Un gruppo con un’età media giovane, con ampi margini di miglioramento, con una spiccata identità sotto il profilo tecnico e mentale. Dobbiamo riuscire a preservarlo e a farlo crescere. Così andremo lontano».