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 2014  luglio 02 Mercoledì calendario

IL CASO BABY SQUILLO - IL MESSAGGERO

Tutti condannati. Per gli otto imputati nel processo sulle baby squillo dei Parioli anche lo sconto di pena, previsto dalla scelta del rito abbreviato, sembra non pesare nel calcolo del gup Agostino De Robbio. Trentotto anni di reclusione in tutto e multe per oltre 150 mila euro. Ma la pena più dura non è quella a dieci anni, inflitta allo sfruttatore delle due ragazzine che fino all’anno scorso si dividevano tra i banchi del liceo Giulio Cesare e un seminterrato di viale Parioli. Sono i sei anni per la mamma di Agnese, una delle due minorenni, che ieri, con la sentenza ha anche perso la potestà genitoriale. Il giudice non ha previsto provvisionali, sarà il Tribunale civile a misurare il ”danno”, ma per tutti gli imputati ha disposto come pena accessoria il divieto di lavorare e venire in contatto con minori. Anche per gli unici due clienti finiti alla sbarra l’impianto accusatorio ha retto. Non ha trovato sponda la linea della difesa: sostenere di ignorare l’età delle baby prostitute non è bastato.

LE PENE
L’unico ad avere una pena inferiore a quella richiesta dalla Procura è stato Mirko Ieni, ”Mimmi”, l’uomo che aveva affittato l’appartamento dei Parioli dove Angela e Agnese si prostituivano. Dieci anni di reclusione e 60mila euro di multa, contro i sedici e sei mesi sollecitati dall’accusa. E’ stato assolto da due episodi di detenzione e tentata detenzione di materiale pedopornografico. Per Nunzio Pizzacalla, l’altro sfruttatore, caporal maggiore dell’esercito, è invece arrivata una condanna a sette anni, a fronte di una richiesta di sei, e al pagamento di una multa di 24mila euro. Ma la pena più dura, è per lei, per la mamma di Agnese: sei anni di reclusione, come avevano chiesto il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il pm Cristiana Macchiusi, e ventimila euro di multa. Il giudice non ha creduto alla versione della donna e ha ha disposto anche la perdita della potestà genitoriale e del diritto di successione. In sede civile, anche lei sarà chiamata a risarcire la figlia. E’ di sei anni e trentamila euro di multa, invece, la condanna per il commercialista Riccardo Sbarra, per il quale la procura aveva chiesto cinque anni di reclusione. Il professionista, cliente delle giovanissime squillo, era accusato anche di detenzione di materiale pedopornografico e tentato favoreggiamento della prostituzione minorile. Quattro anni e tremila euro di multa (un anno e quattro mesi la richiesta della procura) per il cliente Mario Michael De Quattro, che doveva rispondere anche di tentata estorsione in relazione ad una richiesta di mille e 500 euro per non diffondere il filmato di un rapporto con una delle due ragazzine. Per l’imprenditore Marco Galluzzo (tre anni e quattro mesi la richiesta dei pm) la pena è di tre anni e quattro mesi di reclusione e ottomila euro di multa, avrebbe spinto le ragazzine a fare sesso in cambio di cocaina. Condannati a un anno con la sospensione della pena e tremila euro di multa anche Francesco Ferraro e Gianluca Sammarone, gli unici due clienti finiti sotto processo.

LE REAZIONI
«Assoluta soddisfazione» per l’esito del processo è stata espressa dal procuratore aggiunto Maria Monteleone e dal pm Cristiana Macchiusi. «L’impianto accusatorio - hanno sottolineato - è stato pienamente condiviso dal gup», mentre il difensore di Mirko Ieni, Raffaella Scutieri, ha precisato che «è stata finalmente ridimensionata dal giudice la sproporzionata richiesta di condanna del pm. Attendiamo i motivi della sentenza - ha aggiunto - certamente proporremo appello».
I difensori di Sbarra sperano nell’appello: «Non è possibile che basti un sms per configurare il tentato favoreggiamento della prostituzione - commentano Pier Giorgio Micalizzi e Agostino Mazzeo - speriamo in una riforma della sentenza in appello».
Valentina Errante, Il Messaggero 2/7/2014

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QUEI CLIENTI VIP TRA COCA, RICATTI E REGALINI
Studio in viale Parioli, clienti ricchi, vacanze in yacht a Ponza, e la passione sfrenata per le «lolitine». E’ un commercialista, il dottor Riccardo Sbarra, 35 anni, modi eleganti e amante del lusso, il cliente simbolo del giro romano delle baby lucciole. Di sicuro il più sfrontato, tra i clienti condannati nel primo filone d’inchiesta. «Adoro le lolitine», confessava via Skype il dottor Sbarra firmandosi «papy». Non a caso per il suo pallino per le ragazzine definito «allarmante» dal gip, si è visto recapitare in venti giorni due misure cautelari e ieri pure la condanna più pesante tra i clienti: sei anni di carcere. Rispondeva di prostituzione minorile ma anche di detenzione e cessione di materiale pedopornografico etntato favoreggiamento della prostituzione. Nel suo pc fatto volare dalla finestra al momento dell’arresto, i carabinieri hanno recuperato ventimila file a tema. «Goliardate pescate sul web», si era difeso assistito dagli avvocati Agostino Mazzei e Piergiorgio Micalizzi.

L’AMICO «BAMBUS»
Come gli altri clienti, Sbarra non lasciava nulla al caso: con le baby, rapporti e compensi si trattavano prima, o direttamente con il protettore, Mirko Ieni, o nel seminterrato di viale Parioli con le due ragazzine ben istruite sui tariffari. C’è poi chi non si accontentava di essere un cliente come gli altri. L’imprenditore Marco Galluzzo (che ha avuto tre anni e quattro mesi), sposato e padre di tre figli, per esempio, a volte le prestazioni, magari in motel, le saldava con la cocaina. Tanto da essere schedato dalle due liceali come «Bambus» nella sezione dell’IPhone dedicata ai clienti. «Vorremmo il regalino buono», si raccomandavano loro. Cocaina che consumavano il sabato sera in discoteca, extra-servizio, per poi tornare a casa all’alba col taxi.
Per alcuni l’accusa si basa su un unico incontro accertato. E’ il caso di Mario Michael de Quattro, scenografo, condannato a quattro anni, che si era spinto a ricattare una delle ragazzine: «Dammi mille e cinquecento euro oppure racconto quello che fai a tua madre». Ma la fotografia di un incontro isolato, senza ulteriori contatti, corrisponde anche a Francesco Ferraro e Gianluca Sammarone, altri due professionisti con famiglia a carico, condannati a un anno di carcere. Sammarone, che ha sostenuto di aver rinunciato al rapporto perché l’ambiente non gli era sembrato abbastanza signorile, era stato intercettato durante le trattative. Aveva chiamato al cellulare una delle due adolescenti per concordare la «prestazione informandosi sui prezzi («150 - 200») e sulle modalità e dopo aver accertato che la ragazza era carina, si recava in viale Parioli dove la incontrava», era stata la ricostruzione degli inquirenti.

SESSANTA INDAGATI
Ora il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il pm Cristiana Macchiusi stanno scavando nel secondo filone d’inchiesta che ha portato all’individuazione di un’altra carrellata di clienti, sessanta in tutto, tra i quali il marito della parlamentare Alessandra Mussolini, Mauro Floriani. In dieci hanno già presentato istanza di patteggiamento. Non Floriani, però. «Non sapevo che fossero minorenni», si è giustificato al momento della prima convocazione in Procura.
Adelaide Pierucci, Il Messaggero 2/7/2014

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«NON HANNO VOLUTO CREDERMI, COSI’ HO PERSO MIA FIGLIA» -
In questa storia senza padri, dove gli uomini sono sfruttatori o clienti, la scena è stata loro dal primo giorno. E lo è ancora. La mamma di Angela e quella di Agnese. La mamma ”buona”, che ha denunciato, e quella ”cattiva”, che ieri è stata condannata a sei anni per avere indotto la figlia a prostituirsi e ha perso per sentenza la potestà genitoriale, come aveva già disposto il giudice dei minori. Lei, in questa storia, di figli ne ha visti andare via due. E così dopo il verdetto, che chiude solo un capitolo giudiziario, entrambe le madri parlano attraverso la voce dei loro avvocati. Perché entrambe sono disperate. «Straziate dal dolore». Ed entrambe sperano di ritrovare quelle ragazzine, perdute in un seminterrato di viale Parioli e adesso salve, dopo il terremoto, lontane da loro, tra le mura di una casa famiglia.
LA MAMMA DI AGNESE

Lo chiede al suo avvocato Nicola Santoro, la mamma di Agnese: «Le cose potrebbero cambiare in secondo grado, vero? I giudici potrebbero credermi, non è ancora detto». Spera e continua a giurare: «Io non pensavo che in viale Parioli si prostituisse», lo ha ripetuto davanti ai pm e davanti al gip, lo ha detto anche Agnese a tutti i magistrati e agli psicologi che ha incontrato, tentando di difenderla. Ma non è stata creduta. A inchiodarla sono state quelle intercettazioni, in cui la figlia diceva di volere fare i compiti e lei insisteva perché andasse «da Mimmi» (Mirko Ieni): «credevo spacciasse», continua a dire. «Il dolore fa parte del suo stato d’animo costante - dice il legale - la pena e il riconoscimento di tutte le accuse, adesso, aggravano una condizione di profonda sofferenza». E’ da ottobre, da quando è finita in carcere, che la mamma di Agnese non incontra la figlia. Eppure spera. Anche il suo bambino più piccolo, quello che richiedeva maggiori attenzioni per i suoi problemi di salute, è stato accompagnato in una casa famiglia. L’avvocato le ha spiegato che la perdita della potestà genitoriale era già arrivata dal Tribunale dei minori (l’unica misura cautelare vigente nei suoi confronti è il divieto di avvicinamento ai figli) eppure la mamma di Agnese sperava. Sperava che qualcuno le credesse. Gli errori li ha già sotto gli occhi. «Adesso si sta facendo aiutare». Lei aveva già tentato di chiedere sostegno, ma era stato inutile, gli assistenti sociali frequentavano casa sua, anche il medico che curava il figlio era stato interpellato per sostenere quella ragazzina violenta e scontrosa. Più volte si era rivolta ai carabinieri, quando Agnese spariva. E adesso che i suoi figli non sono più suoi, lei spera di rincontrarli un giorno e di potere riparare a tutti quegli errori misurati in anni di carcere e in una condanna penale. Dopo una sentenza che ha visto la figlia costituirsi come parte lesa contro di lei, per volontà del suo tutore e dell’avvocato nominati dal Tribunale dei minori.
LA MAMMA DI ANGELA

«Sono straziata dal dolore, ho visto volare via la gioventù di mia figlia». La mamma di Angela può vedere sua figlia solo due volte al mese, in una situazione ”protetta”, all’interno della casa famiglia dove quella ragazzina, che oggi ha 16 anni e fino a un anno fa si vendeva in un seminterrato della città bene, cerca di ritrovare la strada. «E’ stato difficile scegliere, ma ho dovuto farlo», l’avvocato Tedesco racconta come la mamma di Angela abbia vissuto dolorosamente la scelta di denunciare. «Non ha voluto mettere la testa sotto la sabbia - dice - anche se sapeva cosa sarebbe accaduto. L’onere di questa decisione se l’è assunto da sola». Adesso anche la mamma di Angela sta facendo un percorso, come sua figlia. Dovranno rincontrarsi: «E’ un rapporto che va ricucito in una situazione devastata. E’ consapevole di avere commesso degli errori».
LE RAGAZZE

Per Angela è stato più facile. Adesso ha anche superato gli esami per frequentare il primo liceo. Ma per Agnese no. Per lei, che sogna di fare l’avvocato o la giornalista, ma ancora si allontana, quando in Tv si parla del ”caso”, ieri è stato un giorno ancora più difficile degli altri. Tra gli imputati, nel processo che la vede parte lesa, c’era la sua mamma, che per la legge è diventata un’estranea. «Una decisione formalmente giusta», spiega il curatore che in giudizio ha rappresentato la ragazza, ma la legge non è la vita. E la sentenza è un nuovo duro colpo nel rapporto complicatissimo tra la Agnese e la mamma. «La strada è stata imboccata - spiega chi le è stato vicino - ma queste vicende hanno dinamiche imprevedibili».
Valentina Errante, Il Messaggero 2/7/2014